James Lilley, l’ex ambasciatore americano a Pechino, sapeva due o tre cose di Cina e di spionaggio. In Cina era cresciuto – il padre lavorava per la Standard Oil – poi per trent’anni aveva fatto l’agente della Cia a Hong Kong e a Taiwan, in Cambogia, nel Laos. Ha raccontato le sue avventure spionistiche e diplomatiche in un denso libro di memorie uscito nel 2004, China Hands: Nine Decades of Adventure, Espionage, and Diplomacy in Asia. “Old China hands”, nel gergo della professione, sono gli operativi sul campo. Non è un caso che Bush padre, che era stato direttore della Cia e primo rappresentante statunitense nella Cina di Mao Zedong, avesse scelto proprio lui per l’incarico a Pechino. Lilley, un omone alto e gioviale, era solito spiegare così la differenza tra i metodi di spionaggio cinesi e gli altri: “Se i russi sono interessati alle proprietà della sabbia di una certa spiaggia, manderanno un sottomarino di notte. Sbarcheranno col gommone una squadra. Riempiranno di sabbia un secchio, lo porteranno sul sottomarino e se ne andranno. I cinesi no. Manderanno cinquecento persone a fare un picnic e magari il bagno su quella spiaggia, con paletta e secchiello. Ciascuno porterà via qualche granello di sabbia”.
Uno, cento, un miliardo di palloni aerostatici, tanti quanto i granelli di sabbia? Ma lo spionaggio cinese non è più quello di una volta. Così come il mestiere non è più quello del James Bond di Ian Fleming o dell’agente Ashenden di William Somerset Maugham o dei leggendari “grandi clandestini” degli anni ’20 e ’30. Un tempo i cinesi usavano tecniche completamente diverse da quelle occidentali. Si trattava soprattutto di spionaggio interno, per individuare potenziali oppositori o dissidenti. Nel suo Attraverso lo specchio. Cina, andate-ritorni (Storia e Letteratura, 2021) Silvia Calamandrei ricorda di quando alle elementari dava la caccia alle “spie di Taiwan” a Pechino negli anni ’50, al seguito del padre Franco, mio predecessore immediato come corrispondente de l’Unità. E lei aveva denunciato una sua compagna di classe, perché figlia di “latifondisti”, che quindi, in quanto tali, non potevano che essere al soldo di Chiang Kai-shek. Allora Pechino non aveva bisogno di pagare spie straniere. I nemici erano per forza solo interni: cinesi di Taiwan o cinesi rivali di Mao per il potere. Magari ai vertici del Partito comunista. Con gli americani ce l’avevano perché avevano “scelto” Chiang anziché Mao. Con i russi perché “revisionisti”, proponenti di una direzione diversa per il Partito cinese. L’intelligence estera era disastrosa: per non aver capito nulla di quel che stava succedendo avevano perso l’Indonesia di Sukarno e di Aidit, poi la Cambogia dei Khmer rossi. Avevano fatto guerra al Vietnam, prima ancora stavano per farla all’Urss. In Europa a lungo il loro riferimento era stata l’Albania di Enver Hoxha. Poi avevano cominciato a fare come gli americani, e quindi anche a spiare come loro.
In uno dei capitoli conclusivi del mio recente Colazione a Pechino (Feltrinelli 2022) azzardo che non fosse così bizzarra l’impressione del vecchio Alexandre Kojève, grande esperto di Hegel: “Se gli americani fanno la figura di cino-sovietici arricchiti, è perché i russi e i cinesi non sono che degli americani ancora poveri, anche se in via di rapido arricchimento”. I cinesi stanno diventando americani anche in fatto di spionaggio. E strada facendo, perdono certe finezze. Nell’aprile 2001 un aereo spia degli Usa si scontrò in volo con un caccia cinese. Fu costretto a un atterraggio d’emergenza sull’isola tropicale di Hainan. Gli americani chiesero la restituzione del velivolo. I cinesi glielo restituirono, ma solo dopo averlo smontato pezzo per pezzo, vite per vite. Sull’isola non c’erano piste abbastanza lunghe per farlo decollare, la scusa. Un capolavoro di perfidia diplomatica.
Ma perché gli antiquati palloni aerostatici? Non bastano i già quasi trecento satelliti spia militari? Per motivi sentimentali, perché a usare i palloni per spiare le mosse del nemico, molto ma molto prima delle mongolfiere di Napoleone, o degli Zeppelin, era stato l’astuto Zhuge Liang, nel Romanzo dei Tre Regni, ambientato nella Cina di un paio di millenni fa? Improbabile. Per risparmiare? Ancora più improbabile. Perché un pallone, che ricorda giochi di bambini, è meno minaccioso, meno impegnativo di strumenti più sofisticati, da Star Wars? Perché a una quota più bassa, tra quella di un aereo e quella di un satellite, muovendosi lentamente anziché di gran corsa, si possono ascoltare molte più cose, intercettare molti più segnali?
Così fan tutti, per dirla con Mozart. Una ragione ci sarà se la Cina, che in fatto di intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzatissime applicate allo spionaggio non è seconda a nessuno, manda vecchi palloni gonfiati sull’America. E se, a quanto pare, fa lo stesso anche l’America, che non è seconda a nessuno in fatto di strumenti sofisticati di spionaggio su nemici e amici. Dopo aver piuttosto goffamente negato che si trattasse di uno strumento di spionaggio miliare – è un innocuo strumento di rilevazioni metereologiche, finito fuori strada, era stata la prima reazione di Pechino – i cinesi hanno detto che anche gli americani di palloni ne hanno mandati a decine a sorvolare la Cina. Senza contare gli Ufo (Unidentified flying object) abbattuti su Alaska e Canada, che non si capisce cosa siano, né se siano cinesi, o russi, né tantomeno marziani.
Può trattarsi di tutto. Il portavoce di Biden, John Kirby, ha scherzosamente rassicurato: “Non credo che il popolo americano debba preoccuparsi degli alieni”. “Niente paura, sono solo i nostri amici che passano…”, aveva twittato Elon Musk, il miliardario che produce missili interplanetari e satelliti più sofisticati di quelli della Nasa e le cui aziende private hanno un Pil superiore a quello di tutta la Russia. Buona notizia: non siamo alla guerra dei mondi. Ma anche non così buona. Nei miei primi anni da corrispondente dagli Stati Uniti, Ronald Reagan aveva usato una metafora sui marziani per invitare Gorbačëv a un accordo di disarmo: “Lo faremmo se fossimo attaccati dai marziani”. Di questi tempi è più probabile che accusino i russi, o i cinesi di essersi travestiti da marziani.
Questi ultimi Ufo sono stati descritti come oggetti “che si muovono lentamente ad alta quota con piccola sezione di esposizione ai radar”. Non emettono segnali. Non emettono calore. Sono mini-droni, invisibili come i bombardieri Stealth? Piccoli dirigibili in miniatura? O solo spazzatura spaziale? “In ogni momento ci sono migliaia di palloni che si librano ad alta quota attorno alla Terra. E tra questi molti lanciati da agenzie del governo Usa, dal Pentagono, da ricercatori indipendenti o da amatori privati”, dice Paul Fetkowitz. Se ne intende: dirige un’azienda produttrice di palloni da alta quota, con sede in Florida. Il solo National Weather Service, l’agenzia metereologica Usa, ne lancia 60mila all’anno. E l’Alaska ha più siti di lancio di qualunque altro Stato americano. Senza contare la quantità spaventosa di spazzatura spaziale, detriti che ruotano attorno al nostro pianeta. Allora, com’è che di questi oggetti non identificati se ne accorgono solo ora? Dal Norad (Comando di Difesa aerospaziale del Nord-America) spiegano che dopo la scoperta dell’incursione di palloni spia cinesi, hanno migliorato le loro capacità radar: “Ora siamo in grado di vedere anche oggetti ad altitudini che prima venivano ignorate, e anche oggetti non in movimento, del tutto stazionari”. O forse prima ritenevano che si trattasse davvero di avvistamenti di extraterrestri. Gli Ufo sono stati sempre un pallino americano. E non solo negli anni ’50. Tra il marzo 2021 e l’agosto 2022, sarebbero stati segnalati 247 nuovi avvistamenti, il doppio di quelli segnalati nei 17 anni precedenti. Soprattutto da parte di piloti e personale della Marina e dell’Aeronautica, quindi non da sprovveduti. 163 di questi erano palloni o “oggetti simili a palloni”.
NSC Strategic Communications Coordinator John Kirby: "I don't think the American people need to worry about aliens, with respect to these craft. Period." pic.twitter.com/dZxLKIbh6D
— CSPAN (@cspan) February 13, 2023
La Cina non è da meno in imprenditoria. Se Jack Ma aveva cercato di imitare Amazon ed Ebay con la sua Alibaba, uno scienziato dell’Università Beihang di Pechino, all’avanguardia nella ricerca aeronautica e spaziale, sta cercando di imitare Elon Musk. Il professor Wu Zhe è il Werner Von Braun dei palloni. Ha lavorato per il dipartimento generale degli armamenti dell’Esercito popolare di liberazione, il più gigantesco complesso industriale-militare-tecnologico-culturale al mondo. Il curriculum del 66enne dice che ha contribuito a progettare caccia da combattimento e altri velivoli, lo indica come esperto in materiali invisibili ai radar. Ma la sua vera passione sono i palloni. Forse era a lui che pensava Liu Cixin, il massimo scrittore di fantascienza cinese contemporaneo, quando in uno dei suoi racconti immagina che la Terra, la cui orbita si sta pericolosamente avvicinando al Sole, sia deviata da grandi vele e palloni cosmici. Già nel 2019 il professor Wu aveva annunciato una flotta di palloni dirigibili in grado di circumnavigare il mondo ad altezze stratosferiche, promettendo ai turisti cinesi visioni e panoramiche impareggiabili su diversi continenti, Nord e Sud America compresi. Il programma si chiamava “Cacciatori di nuvole”.
In un video pubblicitario si vedeva il professor Wu indicare il percorso del dirigibile, attraverso l’Asia, il Nord Africa e l’Atlantico, mostrando una linea rossa sullo schermo del computer. “Ecco, ora entra in America”, lo si sentiva concludere nel messaggio. Oltre che scienziato, il professor Wu è un brillante imprenditore. Ha avviato, grazie al finanziamento di un gruppo di immobiliaristi di Shanghai, la Beijing-Nanjiang Aerospace Technology e ha co-fondato l’Eagles Men Aviation Science and Technology Group un’azienda con quartier generale a Pechino, specializzata in palloni ad alta quota, “capaci di comunicazioni ad altissima definizione e di servizi di ricognizione e navigazione, e altri ancora” (così prometteva il sito web, ora oscurato). Venivano pubblicizzate come paragonabili al sistema Starlink di Elon Musk. Il sito vantava di essere riuscito per la prima volta a far circumnavigare da un pallone teleguidato l’intero globo e di essere poi riuscito a recuperarlo. Viene in mente uno dei primissimi racconti della fantascienza moderna, “The Balloon-Hoax” (La beffa del pallone) di Edgar Allan Poe, pubblicato sul New York Sun del 13 aprile 1844. La beffa consisteva nel pubblicare come notizia una trasvolata transatlantica di pura invenzione. Le aziende di Wu sono tra quelle sanzionate da Washington dopo il caso dei palloni spia.
Facciamo un passo indietro negli anni. Un velivolo dalla forma molto affusolata spia da molti chilometri sopra la superficie terrestre. È invisibile a occhio nudo. Un missile lo abbatte. Segue uno scambio di recriminazioni e di storie non plausibili, una più imbarazzante dell’altra, tra le capitali delle due maggiori superpotenze del Pianeta. Le quali, sempre più ai ferri corti, si accusano l’un l’altra. Sono sull’orlo di una grave crisi diplomatica, se non addirittura sul piede di guerra, sia pure ancora solo fredda. Non solo lo fan tutti. Sa di déjà-vu. Chi ha la mia età ha fatto in tempo a leggerlo già sui giornali. Nel 1960.
L’U2, un velivolo spia dalla fusoliera quasi fantascientifica, era partito da una base in Norvegia ed era stato abbattuto mentre sorvolava la Siberia. Fotografava dai limiti della stratosfera. L’Unione Sovietica di Chruščëv si apprestava a celebrare, con la tradizionale parata sulla Piazza rossa, il primo maggio. C’erano speranza di distensione tra i due Paesi nemici e armati sino ai denti di missili nucleari. Era in programma, di lì a qualche giorno, un incontro tra Chruščëv e Eisenhower a un vertice a Parigi. All’inizio gli Americani avevano negato che un loro aereo fosse stato abbattuto, o anche che fosse disperso. Poi si venne a sapere che il pilota dell’U2, il trentenne Gary Powers, si era paracadutato e, anziché inghiottire la pillola di cianuro in dotazione, era vivo e vegeto, anzi cominciava a raccontare parecchio. Il presidente Eisenhower fu costretto ad ammettere che l’aereo era impegnato in una missione di spionaggio. I voli degli U2 furono sospesi. Ma rifiutò di chiedere scusa. Chruščëv annullò il vertice di Parigi. La distensione –c’era già chi sperava in una “luna di miele” tra Usa e Urss – era finita prima di cominciare. Esattamente come con l’abbattimento di un pallone è finito l’annunciato tentativo di dialogo tra Pechino e Washington ed è stata annullata la visita in Cina del segretario di Stato Usa Anthony Blinken. Il pilota Powers fu poi scambiato a Berlino con la spia sovietica Rudolf Abel. Il recente film sulla vicenda, Il Ponte delle spie, con Tom Hanks, insinua – probabilmente senza allontanarsi molto dal vero – che più che al proprio pilota gli Americani erano interessati a sapere che cosa Powers aveva effettivamente raccontato negli interrogatori.
Così facevano tutti. Così fan tutti. Prima dell’U2, nei momenti iniziali della Guerra fredda, gli Americani usavano i palloni. Era l’unico modo per andare a sbirciare cosa stava succedendo all’interno della Cortina di ferro, nell’immenso territorio dell’Unione sovietica. Si chiamava “Progetto Moby Dick”. Fu sospeso nel 1956, l’anno che i carri armati dell’Armata rossa schiacciarono l’Ungheria, quando la scoperta sovietica di apparecchiature fotografiche in uno dei palloni che si era sgonfiato fece scintille nel rapporti tra i due Paesi, già infiammati da una sequenza di altre crisi. Kyiv ha appena annunciato di aver abbattuto dozzine di palloni russi che distraevano la contraerea ucraina facendogli sprecare missili anti-missile.
Quest’articolo è stato pubblicato in origine sul Foglio di sabato 18 febbraio 2023.
Foto di copertina: il pallone aerostatico, foto di Chase Doak, Wikimedia Commons.