Una scelta che più indipendente e spericolata non si potrebbe. È Non essere cattivo di Claudio Caligari il titolo italiano candidato al Premio Oscar per il miglior film straniero, cioè non in lingua inglese. La commissione chiamata a dare la prestigiosa investitura ha preferito l’opera postuma di Caligari, morto a 67 anni nel maggio scorso, a quelle di autori più noti come Mario Martone (Il giovane favoloso), Cristina Comencini (Latin lover), Marco Bellocchio (Sangue del mio sangue), Sergio Castellitto (Nessuno si salva da solo) e Nanni Moretti (Mia madre). Nella rosa di quanti ambivano alla designazione vi erano anche l’esordiente Piero Messina (L’attesa), Giuseppe M. Gaudino con Per amor vostro per il quale Valeria Golino ha vinto la Coppa Volpi a Venezia e Laura Bispuri di Vergine giurata.
In tutto erano nove gli iscritti a questa prima fase della lunga corsa verso la Notte delle Stelle, il cui prossimo passo è la composizione di una shortlist hollywoodiana di semifinalisti provenienti da tutto il mondo (di solito sono nove film) e, in seguito, della cinquina dei finalisti. Non potevano scendere in campo Paolo Sorrentino, premio Oscar nel 2014 per La grande bellezza, e Matteo Garrone: sono infatti girati in inglese i loro ultimi film, rispettivamente Youth – La giovinezza e Il racconto dei racconti.
Prima di Non essere cattivo, Caligari aveva realizzato soltanto altri due film: Amore tossico nel 1983 sulla tragedia di una generazione vittima dell’eroina e L’odore della notte nell’88 sulla malavita romana, con Valerio Mastandrea. Ed è stato proprio Mastandrea, in veste di co-produttore, a battersi amorevolmente negli ultimi mesi affinché Non essere cattivo fosse a Venezia (venne selezionato fuori concorso) e poi nelle sale dove finora ha incassato 270.000 euro, un relativo successo considerando che è uscito con una sessantina di copie, distribuito dalla «Good Films» dei fratelli Lapo e Ginevra Elkann con Francesco Melzi d’Eril e Lorenzo Mieli.
Ora il sogno dell’Oscar sembra una botta di adrenalina, una di quelle cui anelano i giovani e straordinari interpreti principali del film, Luca Marinelli (Cesare) e Alessandro Borghi (Vittorio). Sono due amici per la pelle nella Ostia di metà anni ‘90, quindi sul finire del «romanzo criminale» affrescato da Giancarlo De Cataldo e sull’orlo estremo di un’epoca «nuova», più incerta e forse più inquietante. Ai margini della Capitale impazzano le droghe sintetiche insieme alle vecchie «canne», l’Aids falcidia i ragazzi, la violenza è pane quotidiano… Eppure ci sono in giro un’energia pazzesca, una «disperata vitalità» pasoliniana e persino un candore inusitato, incendiario giacché prossimo a estinguersi.
È l’innocenza perduta la cifra autentica del film di Caligari – il più applaudito fra gli italiani al Lido di Venezia – che sembra uno strano «oggetto» venuto dal passato per planare sui nostri schermi. Lo stile e il linguaggio rinverdiscono e aggiornano il neorealismo. Lo scandaglio quasi documentaristico della vita di borgata rinvia agli anni Settanta o, appunto, alla memoria di Pier Paolo Pasolini che oltretutto venne assassinato all’Idroscalo di Ostia nel 1975. Caligari prima di morire ha lasciato indicazioni minuziose sul lavoro ancora da farsi in moviola e così il film raggiunge una profondità rara nel cinema d’oggi, magari nelle scene a prima vista più «superficiali», scandite dall’azione frenetica dei due protagonisti nelle notti da sballo in discoteca, a bordo di macchine truccate o in preda all’alcool e alla cocaina. Passioni forti, quelle di Cesare e Vittorio, tra amicizie tradite, ravvedimenti provvisori e amori disperati, mentre il richiamo della foresta metropolitana li seduce, li divora, li perde.
E’ una favola crudele, Non essere cattivo, resa più amara dal destino del regista dopo tante difficoltà superate per arrivare a girare il film. L’Oscar sarebbe una sorta di tardivo riscatto e darebbe più luce a un periodo della nostra storia recente in cui – al solito – tutto cambiò perché molto restasse eguale. I due ragazzi mal cresciuti di Non essere cattivo, le loro ragazze di periferia, gli amici, i nemici, i figli fecero da capro espiatorio di questo falso movimento, pagando per tutti.
Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 29 settembre 2015