ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

L’inclusione ideale e l’integrazione reale

Questa discussione riguarda il futuro: l’ingresso nella vita sociale e politica e nella storia dell’Italia e dell’Europa di crescenti minoranze etniche, culturali e religiose. Al momento, gli immigrati in Italia sono cinque milioni su 60 milioni di abitanti.

In Europa le minoranze musulmane sono 25 milioni, circa il cinque per cento su mezzo miliardo. Non si tratta delle invasioni che la storiografia romano-centrica definisce “barbariche”, partite nel 375 dalla regione danubiana e durate fino all’800, e che la storiografia tedesca preferisce chiamare Völkerwanderungen, “migrazioni di popoli”.

Migrazioni tutt’altro che pacifiche. Si pensi alla guerra gotica (535-553) nella penisola, che ridusse a cinque milioni gli abitanti e che aprì la strada all’invasione longobarda nel 568, con ciò spezzando l’unità politica della penisola italica fino al 1861.

Migrazioni che hanno causato la fine dell’ordinamento romano imperiale dell’Occidente e hanno dato inizio, certamente inconsapevole, all’Europa cristiano-carolingia. Questa volta è stata la globalizzazione a spingere alcuni milioni di persone dal resto del mondo in direzione dell’Europa, in questa penisola dell’Asia, densa di prosperità, di benessere, di diritti. Noi europei siamo legittimamente allarmati.

Anche perché una parte dei nuovi arrivati non ha affatto intenzioni pacifiche. Ha scritto realisticamente Huntington nel 1996: “Le frontiere dell’Islam grondano sangue”. Vogliono godere della nostra prosperità, ma rifiutano le nostre leggi, la nostra cultura, i nostri diritti, dimenticando che queste sono le basi della stessa prosperità, che loro vogliono condividere.

Questo allarme sta alla base dei dibattiti politico-culturali in tutta Europa, provocando nuove fratture ideologiche e ridefinendo ciò che tradizionalmente si chiama “destra” e “sinistra” in politica. Ma la frontiera principale di frizione/invasione/integrazione tra Europei e immigrati passa in tutte le scuole del Paese, nessuna esclusa.

 

Di qui una prima urgenza metodologica: che il ragionamento non sia grezzo. Non si fa il cardiochirurgo con il coltellaccio da cucina! Intanto un dato: gli alunni “stranieri” sono al 70 per cento nati in Italia.

Non sono “italiani” giuridicamente, ma parlano già la nostra lingua, frequentano i luoghi dei loro coetanei, hanno le loro stesse abitudini, ne copiano troppo spesso anche quelle poco raccomandabili. Non sono degli alieni. Saranno cittadini italiani a 18 anni.

Secondo: la distribuzione nelle scuole di questi ragazzi in base a percentuali prefissate è del tutto impraticabile. Si può ridurre il peso percentuale dei ragazzi “stranieri” nelle scuole e nelle classi solo in due modi: tutte le sante mattine spostare i ragazzi italiani dal centro di Milano all’”Iqbal Masih” di Pioltello o trasferire i ragazzi “stranieri” di Pioltello verso il centro di Milano. Tutti in tram? La trovata del ministro dei Trasporti è degna del miglior Pirandello.

 

Altra questione è quella della composizione delle classi dentro un plesso. Perché anche da noi, benché in misura minore che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, sta accadendo, soprattutto nelle periferie metropolitane, la cosiddetta “White Flight”, la fuga dei “bianchi” da classi a prevalenza di “neri”, cioè di soli “stranieri”.

Ma qui si toccano l’organizzazione didattica del sistema scolastico e delle singole scuole. Quando il ministro Valditara ha proposto l’“italiano potenziato” e dei corsi differenziali per dei ragazzi che provengono da famiglie che parlano una qualche lingua araba in casa e che, pertanto, conoscono solo un italiano elementare, incapace di farli accedere ai testi complessi delle discipline di insegnamento, tutta la sinistra politica e sindacale dei “Testimoni di Geova dell’inclusione” è insorta con anatemi e processioni-manifestazione penitenziali.

Ora, se in una classe stanno seduti negli stessi banchi ragazzi con conoscenza linguistica molto disomogenea, l’insegnante si trova di fronte al seguente dilemma: dedicarsi agli ultimi, lasciando in stand-by i penultimi e i primi o, viceversa, dedicarsi ai primi, lasciando indietro i penultimi e gli ultimi?

Nel primo caso, i penultimi-primi si annoiano e non vedono l’ora di lasciare la scuola; nel secondo caso, i penultimi-ultimi sono destinati allo scacco. In ambedue i casi, il destino è l’abbandono della scuola e l’emarginazione socio-economica. Le cifre della dispersione scolastica sono drammatiche: per gli immigrati arriva al 30,1 per cento, per gli italiani al 9,8 per cento.

Servono dunque classi/corsi differenziati di italiano così come esistono A1, A2, B1, B2, C1, C2 per inglese. Per l’italiano serve almeno un B2. Altrimenti certe discipline sono inaccessibili. L’organizzazione della didattica per età e non per livelli di conoscenza resta il tabù immarcescibile del sistema e la causa più profonda del suo fallimento, per gli “italiani” e per “gli stranieri”.

Così l’inclusione ideale genera l’esclusione reale. Valditara ha perfettamente ragione a proposito dell’italiano potenziato. Deve solo procedere più decisamente a istituire classi/corsi per soli stranieri fino al raggiungimento del B2. Questa la condizione per accedere a qualsiasi indirizzo di studio. Le vestali dell’inclusione insorgeranno? Pazienza! E ben vengano i corsi pomeridiani per i ragazzi e per i genitori organizzati dalla scuola, dalle parrocchie, dai Comuni, dalle associazioni di volontariato, dovunque sia possibile.

 

In che cosa consiste l’identità dell’“Homo europaeus”, che oggi viene usata dalla destra estrema come una clava contro l’inclusione reale degli immigrati? A questo punto si aprono questioni di filosofia politica, relative a “identità”, “civiltà” e a “monismo, pluralismo, relativismo dei valori”. Ne discuteremo.

Forse ne discusse anche papa Leone I con Attila, quando lo fermò sul Mincio nel 452. Meno convincente fu il papa con Genserico nel 455, che assediava Roma con i suoi Vandali.

È certo che i processi di integrazione e di inculturazione che assicurino fedeltà alla Costituzione italiana dei fedeli all’Islam si presentano tutt’altro che facili. Tornando a Pioltello, lì hanno preso atto che la scuola non basta. Donde attività pomeridiane a scuola e nelle Parrocchie.

Le famiglie, italiane e/o immigrate, tendono per molte ragioni ad abbandonare i figli a se stessi nel pomeriggio. Corsi di falegnameria, di grafica, di lettura, di meccanica di base – per esempio di riparazione di biciclette – sono altrettanto preziosi, soprattutto se vengono coinvolte le generazioni anziane – per esempio i pensionati – portatrici di esperienze professionali e culturali, che ricevono il rispetto tradizionale dei mussulmani per gli anziani.

In ogni caso l’”overlapping consensus” – il consenso per intersezione – quale proponeva J. Rawls, non è facile a costruirsi e, soprattutto, può anche fallire. Garantire diritti in tensione tra loro quale il diritto all’istruzione per tutti e quello della libertà religiosa di ciascuno – mentre credenze, religioni, fedi si vanno moltiplicando – è un’impresa socio-culturale e politica impegnativa di lungo corso. L’uso della clava forse porta qualche voto, ma è destinato allo scacco.

 

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