«I poteri forti sono insediati fin dall’inizio nella struttura del governo stesso e quelli sì, remano sistematicamente contro la sua politica». L’ha scritto Eugenio Scalfari nell’usuale fondo domenica 10 giugno su la Repubblica. Una risposta al premier che s’era lamentato di esser stato abbandonato nel sostegno alla sua politica proprio dai “poteri forti” e segnatamente dal quotidiano che li rappresenta di più il Corriere della Sera.
Oggi Monti risponde a Scalfari che ai poteri forti nell’Esecutivo dava nome cognome: il capo di Gabinetto di Palazzo Chigi, Vincenzo Fortunato; il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà; il ragioniere generale del Tesoro, Mario Canzio «che hanno un difetto assai grave: sono creature di Gianni Letta e Giulio Tremonti». Quinte colonne, in pratica, «sicuramente contrari alla linea del governo come ogni giorno i loro comportamenti dimostrano».
Monti risponde oggi su la Repubblica a Scalfari, dicendo che quando li ha nominati sapeva di che gamba andavano zoppi, che avrebbe potuto procedere con l’arma dello spoil system, «ma essendo sostenuto da una maggioranza che è composta da forze politiche antagoniste tra loro (…) devo cercare di estrarre il meglio da ogni forza e di rendere compatibile ciò che “in natura” ha mostrato di non esserlo». Un’operazione verità.
Ecco, dunque, perché Monti è un ostaggio, costretto di continuo a mediare tra gli “interessi forti” soprattutto dei partiti. E di alcuni in particolare. Ecco perché il governo è debole con i forti e forte con i deboli. E perché Scalfari è preoccupato per la sua tenuta. E le possibili imboscate.