MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Libia, lo schiaffo del Sultano

Le telefonate natalizie non hanno sortito effetto: il “sultano” di Ankara non ha indossato i panni di Babbo Natale esaudendo il desiderio di Luigi Di Maio: riconoscere all’Italia il ruolo di mediatore nella guerra in Libia. E sì che il titolare della Farnesina ci si era messo d’impegno alzando il telefono per chiamare i due player più importanti nella partita libica: lo “Zar” e il “Sultano”, al secolo Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan. Conversazioni che, secondo l’entourage di Di Maio, erano state “costruttive” al punto che le possibilità, perorata dall’Italia, dall’Europa e, almeno ufficialmente, dalla stessa Russia, di un cessate-il-fuoco, si sarebbero fatte più concrete, anche in vista della Conferenza internazionale di Berlino.

Sembrava, per l’appunto. Perché una cosa sono i desideri, altro la loro realizzazione. Neanche ventiquattr’ore dopo la telefonata “pacificatrice” con Erdogan, arriva l’annuncio che drammatizza ulteriormente lo scenario libico, dimostrando, se ancora ce ne fosse stato bisogno che l’unica “diplomazia”  davvero praticata in Libia è quella delle armi. E che da guerra per procura, quella che si sta combattendo nel Paese nordafricano è ormai una guerra di tutti. Ed è anche una guerra intersunnita, visto che a fianco dell’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar, è schierata la Turchia (supportata finanziariamente dal Qatar), mentre a sostegno del Governo di accordo nazionale, l’unico riconosciuto internazionalmente, guidato da Fayez al-Sarraj c’è l’Egitto del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi.

A  gennaio il Parlamento turco voterà su un eventuale invio di truppe in Libia a sostegno del governo d’unità nazionale contro le forze del generale Khalifa Haftar. Lo ha annunciato lo steso Erdogan. La mozione sarà presentata alla ripresa dei lavori parlamentari, il 7 gennaio. Il risultato è scontato: il via libera ai desiderata del “Sultano”.

Erdogan cerca alleati nell’area. La Libia è stato il tema al centro della visita a sorpresa di ieri del presidente turco a Tunisi, dove ha incontrato per la prima volta l’omologo tunisino Kais Saied, insediatosi lo scorso 23 ottobre. I due hanno discusso delle tensioni regionali suscitate dal rafforzamento della cooperazione fra Ankara e il governo libico di unità nazionale (Gna) li, segnato dalla firma di un accordo di cooperazione militare e di sicurezza lo scorso 27 novembre durante una visita a Istanbul del premier libico Fayez al-Sarraj. Parlando in conferenza stampa, Erdogan ha spiegato di avere discusso con Saied della cooperazione con la Tunisia per contribuire a una risoluzione del conflitto libico.

“Abbiamo discusso dei modi di cooperare per arrivare a un cessate il fuoco in Libia nell’ambito del rilancio del processo politico”, ha dichiarato il presidente turco, “L’impatto degli sviluppi negativi in Libia non si limita a questo Paese ma tocca anche i Paesi vicini, in cima la Tunisia”, ha proseguito Erdogan.

La Tunisia condivide una lunga frontiera con la Libia e accoglie migliaia di libici fuggiti durante la rivolta che ha portato alla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. La Libia è dilaniata fra due poteri rivali: da una parte il Gna con sede a Tripoli e dall’altra un potere a est incarnato dal generale Khalifa Haftar, che ad aprile ha lanciato un’offensiva per conquistare la capitale. Haftar è sostenuto da Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, Paesi con cui la Turchia ha rapporti tesi. Erdogan ha lanciato un appello alla Tunisia, ma anche a Qatar e Algeria, a partecipare alla conferenza internazionale sulla Libia che l’Onu dovrebbe organizzare all’inizio del 2020 a Berlino.  Il presidente tunisino Kais Saied, dal canto suo, ha sottolineato “la complessità crescente” della crisi libica e ha parlato del “sostegno del presidente Erdogan a un’iniziativa tunisina sulla Libia”. Annunciata lunedì da Saied in un comunicato, questa iniziativa lancia un appello a “tutti i libici a sedersi al tavolo dei negoziati per arrivare a una formula di uscita dalla crisi”.

Negli ultimi mesi l’intervento di forze esterne è diventato ancora più massiccio e ha provocato un aumento delle violenze e dei morti, soprattutto a Tripoli. Dalla parte di Haftar sono schierati Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia e Francia. In particolare è il sempre maggiore interesse russo per la Libia a preoccupare Stati Uniti ed Europa. Funzionari governativi occidentali, ha scritto, Bloomberg, sostengono che da settembre a oggi siano arrivati in Libia più di mille mercenari del Gruppo Wagner, società di sicurezza russa che opera anche in Siria e in Ucraina e che è sospettata di essere legata al governo di Vladimir Putin. Secondo miliziani libici e funzionari europei sentiti il mese scorso dal New York Times, la presenza dei mercenari sarebbe confermata anche da un tipo particolare di ferita riportata sui corpi dei miliziani che stanno combattendo a sud di Tripoli: piccoli fori di entrata di proiettile sulla testa o sul torso, che uccidono immediatamente e che non hanno corrispondenti fori di uscita. La mancanza di fori d’uscita sarebbe una specie di “firma” delle munizioni usate dai mercenari russi.Nelle ultime settimane anche il governo di Sarraj ha cominciato a fare più affidamento su forze esterne, a cominciare da quelle turche.

Sarraj ha annunciato l’attivazione del memorandum con la Turchia proprio pochi giorni dopo la visita di Di Maio, segno che le garanzie presentate dall’Italia non erano state considerate sufficienti dal primo ministro libico. Di fronte alle critiche italiane per l’accordo tra Sarraj e Turchia, in un’intervista al Corriere della Sera, il premier libico ha detto: :  “Cosa vi aspettate voi italiani? Che noi a Tripoli stiamo passivi a guardare mentre l’aggressore distrugge la nostra capitale, uccide civili, bombarda le nostre case?”.

Puntare sulla diplomazia è cosa lodevole, a patto, però, che non si cada in un impavido cerchiobottismo o in una riedizione, malriuscita, dell’andreottiana politica dei due forni. . Ma quando la politica estera è in mano a dei dilettanti, pensare positivo è impresa davvero ardua.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *