Fuorigioco. Bocciati. Accusati di fare il doppiogioco. Tra Sarraj e Roma è ormai rottura totale. Ed ora arriva il timbro ufficiale.
“L’Italia non sa cosa vuole dalla Libia” e, “per mancanza di logica e di strategia politica, sta perdendo un partner nel Mediterraneo, sarà difficile recuperarlo in futuro”: ad affermarlo un’intervista a La Repubblica è il Vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Ahmed Maitig, lamentando come “negli ultimi 24 mesi” l’Italia abbia fatto “tanti passi sbagliati” dopo che “per molto tempo dal 2011, ma anche per molti anni prima, l’Italia è stato il Paese europeo più vicino alla Libia, quello che lo conosceva meglio, che riusciva a tradurre le nostre complessità con l’Europa”.Maitig ha quindi rimarcato come “nel momento del nostro bisogno ci sono stati altri governi che si sono avvicinati e ci hanno aiutato”, sottolineando che non si tratta di “armi”. “Stiamo parlando dei momenti difficili che abbiamo passato, quando tanti paesi hanno capito che eravamo in un momento difficilissimo. Non c’è stato sostegno politico, in Italia non c’è stata attenzione alla partita”, ha precisato, sottolineando che “nel novembre 2019 l’attacco di Haftar aveva portato Tripoli quasi al collasso e proprio in quei frangenti leader politici italiani aprivano un dialogo con Haftar”.
Alla domanda su un contrasto con Roma sull’utilizzo dell’ospedale militare di Misurata, Maitig ha risposto: “L’ospedale è stato molto utile durante guerra contro il terrorismo a Sirte. Ma da allora abbiamo visto molti passi indietro da parte del governo italiano. Questo ospedale o serve ad aiutare i cittadini libici e viene utilizzato appieno, oppure non ha senso. Durante questa crisi Covid, avevamo chiesto di occuparsi dei feriti libici che rientrano in Libia dall’estero per convalescenza e hanno bisogno di assistenza. Non ci hanno risposto. Abbiamo chiesto allora di trasformarlo in ospedale Covid. Non ci hanno risposto. Sono settimane che stanno esaminando le nostre richieste, ma sono mesi che non sanno cosa fare dell’ospedale”.
“Sono molto triste di fronte a un governo italiano che non ha mosso i passi giusti nel momento in cui Tripoli è stata attaccata massicciamente. E continua a sembrare assente. Il governo italiano non ha una strategia chiara con la Libia”, ha concluso.
Nei giorni scorsi, lo stesso Maitig aveva sostenuto che l’operazione Irinidell’Unione europea – vanto del titolare della Farnesina, Luigi Di Maio – permonitorare l’embargo delle armi delle Nazioni Unite sulla Libia “non è sufficiente e trascura il monitoraggio delle frontiere aeree, marittime e terrestri orientali della Libia”. “L’Unione europea non ha consultato il nostro governo prima di prendere la decisione di avviare l’operazione che si affaccia sui confini orientali”, ha aggiunto Maitig durante un incontro con l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Buccino secondo quanto scrive l’ufficio informazioni del Gna in una nota.
Fuori dall’ufficialità, una fonte di Tripoli vicina ad al-Sarraj non nasconde la delusione e l’irritazione del primo ministro verso quello che definisce “la diplomazia delle chiacchiere portata avanti dall’Italia nella fase decisiva del conflitto. Più volte il presidente Conte e il ministro degli Esteri Di Maio – spiega la fonte – ci hanno ribadito il loro sostegno, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Non solo: sappiamo che Roma ha mantenuto aperti canali di comunicazione con il golpista Haftar. E questo non va affatto bene…”.
Il cerchiobottismo italiano porta al disastro ben fotografato dall’ex vice ministro degli Esteri, e profondo conoscitore della realtà libica e nordafricana, Mario Giro: L’abbiamo visto già in Siria e ora la storia si ripete: due potenze (una maxi e l’altra media) stanno prendendo progressivamente il controllo del Mediterraneo, mediante una sofisticata manovra competitiva e allo stesso tempo cooperativa tra i due. In Siria comandano Mosca e Ankara; dopo aver tentato un ruolo autonomo, l’Arabia Saudita si sta allineando; a Cipro (e ai suoi campi petroliferi offshore) non ci si può avvicinare senza il permesso turco; l’Egitto è preso in tenaglia e dovrà adeguarsi; Algeria e Tunisia hanno i loro problemi interni. La sponda nord (cioè l’Europa) lascia correre: non fa politica estera, non negozia, non riflette sul da farsi. Il problema è innanzi tutto italiano. Paradossale rammentare che eravamo il primo partner commerciale di Damasco e Tripoli: ora ci manderanno via, lentamente ma sicuramente. Presi dalla nostra ossessione migratoria non abbiamo visto ciò che accadeva: l’espansione strategica turca (che l’Italia stessa cacciò dalla Libia nel 1911) e il ritorno della Russia nel Mediterraneo”.
Per provare a ricostruire uno straccio di rapporto, “Giggino” ha alzato il telefono. La Farnesina ha fatto sapere che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha avuto un colloquio telefonico con il presidente libico Serraj. Al centro della discussione la missione europea Irini e la situazione sul terreno in Libia. Il ministro degli Esteri ha rassicurato la controparte che la missione Ue “sarà equilibrata e bilanciata in tutte le sue componenti, navale, aerea e satellitare. Lo scopo dell’Ue non è quello di agevolare l’una o l’altra parte, ma fermare l’ingresso di tutte le armi nel Paese”.
Ma a Tripoli nessuno gli dà credito. Da quelle parti hanno già un “protettore”, che non dispensa parole ma armi. E’ il “Sultano di Ankara”, al secolo Recep Tayyp Erdogan. Quando ci sarà da sparire la miliardaria torta petrolifera e quella non meno sostanziosa della ricostruzione, Erdogan, come Putin, avrà un posto a capotavola. Conte al massimo in seconda fila.