Dopo aver definito come sofisma l’indebita deduzione che fa scaturire dalla distinzione di liberismo e liberalismo l’opzione di Croce per politiche statalistiche, è forse necessario andare più a fondo nel ragionamento e chiedersi se, da un punto di vista più generale o anche filosofico, il pensatore napoletano avesse o no ragione nel separare liberismo e liberalismo. La risposta che io dò a questa importante domanda è articolata. Se si ritiene che il liberismo sia consustanziale al liberalismo nel senso che non può esistere una politica liberale che non sia sempre e comunque contro l’intervento dello Stato e a favore dell’iniziativa individuale in economia, abbiamo già visto che ciò è errato in punta di teoria. Si scade, infatti, in quel fissismo che è proprio di ogni metafisica o ideologia non storicistica. Tuttavia, c’è un altro modo di intendere l’iniziativa individuale, e il profitto che ne è il motore in campo economico, considerandoli cioè come l’espressione di quel “vitale” che accompagna e in qualche modo precede ogni individuarsi dello spirito umano. Vista da quest’angolo prospettico, la faccenda cambia quasi radicalmente. E il supporto vitale dato dal liberismo così inteso è non solo possibile ma anche necessario: è coessenziale ad un liberalismo che non voglia vivere nel cielo puro delle teorie astratte, come certo liberalismo politologico nordamericano contemporaneo. Un liberalismo, come ho già più volte detto, che voglia essere, come ad esempio è stato quello della migliore tradizione italiana, concreto e sorretto da forze vitali, che non adotti strategie immunizzanti rispetto alla conflittualità del reale. Fur di metaforo, quello che si vuol dire con questa opzione per il liberismo è che il liberalismo deve farsi carne e sangue, deve vivere nella lotta e per la lotta, come una conquista quotidiana che nessuno può garantirci, tantomeno lo Stato dispensatore di “benessere” ed “eticità” fosse pure liberale. Come Croce stesso ebbe a dire la ricerca dell’ottimo stato è in sé errata, fosse pure l’ottimo stato liberale o democratico (e qui non posso non pensare al tanto sopravvalutato Rawls). Certo, lo Stato può essere in alcuni casi uno strumento, ma il liberalismo vive prima di tutto e soprattutto vive come lotta per la libertà, anzi più radicalmente come lotta e libertà. Detto altrimenti: esso vive nella tensione, come tensione. E in questo particolare senso si può dire, celiando un po’, che Croce era un liberista. Può sembrare, la mia, una facile quadratura del cerchio, ma è un ragionamento a cui si perviene se si prende sul serio quel concetto di Vitalità che è sotteso a tutta l’opera crociana, pur emergendo prepotentemente solo nell’ultima fase del suo pensiero. Allorquando, fra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, la polemica con Einaudi sui rapporti fra liberismo e liberalismo si era già tutta svolta. Ed è come se, da questo punto di vista, quella bellissima lode al profitto che Einaudi scrisse in quel medesimo frangente di tempo trovasse, nel suo dissenziente amico, la più profonda giustificazione filosofica.
Infatti il profitto, così come la gratificazione di vedersi realizzati in un’attività propria e personale, non è altro, nella mia linea di ragionamento, che il modo concreto in cui si manifestano la forza vitale o quegli “spiriti animali” che noi siamo abituati a considerare negativi per il semplice fatto che siamo ancora immersi in una tradizione di pensiero che divide il mondo in spirito e materia. E che quindi è portata a considerare, in maniera a volte anche inconscia, gli elementi materiali, di cui il denaro è simbolo e metafora, come elementi negativi e da estirpare. Il denaro rimane, anche e soprattutto nella cultura di sinistra, il medievale “sterco del demonio”. Sento già l’obiezione che qualcuno mi potrebbe porre: il mio sarebbe puro giustificazionismo storico, incapacità di vedere il negativo che è presente nel mondo. Non solo però non sono così “realista” e cinico da credere ciò, ma ritengo anzi che il male, la negatività, sia sempre dietro l’angolo e che a noi tocca sempre combatterla. Ma con alcune fondamentali avvertenze e, soprattutto, con una radicale riformulazione del problema del male di cui darò conto nel prossimo post di questo blog.
Capisco la sua reazione e me l’aspetto sempre: tenere un blog filosofico è una scommessa e sottopone al rischio di queste reazioni. La filosofia non è immediatamente utile, non serve a nulla di immediatamente. Non credete nella trappola di coloro che addirittura vorrebbe darvi uno, due, mille “principi di giustizia” che loro, novelli Buddhi, hanno finalmente attinto. In questo senso, in prima istanza, la filosofia può dare l’impressione di essere puro onanismo intellettuale. Se però ha costanza e la segue, si renderà conto che anche l’inutile alla fin fine ha una sua utilità. Grazie dell’opinione schietta e colorita, che apprezzo
sega mentale