Parole.
Se i rapporti annuali di Amnesty International contemplassero una sezione apposita per la libertà religiosa (diritto al quale evidentemente Amnesty non ritiene di dover dedicare un’attenzione specifica), l’Italia non figurerebbe certo in una posizione più critica di molti altri paesi, in cui le minoranze religiose vengono sistematicamente discriminate o perseguitate. Eppure, anche da noi i problemi non mancano.
Molti, in Italia, possono ritenere che di ‘libertà’ i credenti se ne prendano ‘fin troppa’, compresa quella di sconfinare in campi non propri; altri possono ritenere che tutto sommato ce ne sia il giusto. In realtà, si tratta di una libertà distribuita in modo profondamente ineguale, una libertà ancora in condizione di quasi monopolio. Per cominciare: il quadro legislativo, che come è noto in Italia è definito a) dagli articoli della Costituzione (in primis 3, 8, 19, 20 e 21) che definiscono eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, eguaglianza di tutte le confessioni davanti alla legge, libertà e condizioni di esercizio della propria confessione; b) dall’esistenza di ben quattro diversi gradi di libertà religiosa, che è ciò che determina la sua ineguale distribuzione. I quattro livelli in questione sono 1) Il Concordato, con lo Stato Città del Vaticano; 2) le Intese, di cui attualmente sei approvate (Tavola valdese, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno, Unione Comunità Ebraiche in Italia (UCEI), Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia (UCEBI), Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI)) e altre in attesa di approvazione (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, Unione Buddista italiana (UBI), Unione Induista Italiana; 3) la legge sui culti ammessi, emanata dal governo Mussolini nel 1929; 4) la condizione di quelle confessioni che non godono di nessuna forma di riconoscimento.
Dalla condizione della Chiesa cattolica a quella delle confessioni senza intesa, le differenze concrete sono enormi, in termini di presenza dei diversi culti negli spazi sociali (scuola, carceri, ospedali, mass media etc.), in termini di rapporti con lo spazio politico, anche simbolici (cerimonie di Stato, come i funerali per esempio), sempre naturalmente a svantaggio dei culti non cattolici. Il quadro legislativo, in questo caso come del resto sempre, non è indipendente da quello che è stato definito “l’analfabetismo religioso” del paese, che dalle scuole di ogni ordine e grado fino alle istituzioni politiche locali e nazionali riflette e riproduce una cultura pluralista assai debole.
Cosa fare? Le questioni sono complesse, molto; molto più di quanto le sommarie considerazioni qui avanzate possano esprimere. E tuttavia una cosa sarebbe necessaria, a mio (e non solo direi) parere: una organica legge quadro. Una legge sulla libertà religiosa, che ordini l’intera materia in modo da garantire eguali libertà a tutti i culti alla luce delle trasformazioni del panorama religioso italiano, abolendo vergognosi residui dell’epoca fascista (la legge sui culti ammessi); una legge che rifletta quanto più possibile una concezione non etnocentrica della religione e del culto, del loro significato per individui e gruppi anche al di fuori del per noi più familiare orizzonte cristiano. Nelle passate legislature tentativi in questo senso erano stati fatti, e sono stati fatti puntualmente naufragare, ora per l’opposizione della CEI, ora di quella grande seminatrice di cultura razzista che è (stata?) la Lega. Eppure, la proposta di legge preparata da Valdo Spini e Marco Boato, di cui furono relatori Roberto Zaccaria e Lucio Malan rispettivamente alla Camera e al Senato nel corso della XV legislatura, era un buon testo, e oggi sarebbe un buon punto di ri-partenza, anche dal punto di vista dei presupposti socio-antropologici che rifletteva. Ma un buon testo avrebbe bisogno di un battaglia più convinta e decisa da parte della sinistra, di una sinistra che ne facesse una propria priorità, convintamente, superando scetticismi, attriti, vischiosità, resistenze della sua base, cogliendone la valenza democratica, l’importanza strategica in un contesto anche europeo, in cui una battaglia simile è, tout court, una battaglia in difesa del pluralismo. Chiamando a raccolta, naturalmente, quanti tra le forze politiche e la sfera pubblica (a partire naturalmente dalle comunità religiose stesse) vogliano condividerne le ragioni.