Sapendo che
Maria pose il suo bambino appena nato in una mangiatoia
(Luca 2, 7)
e ricordando che
Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende
(Isaia 1,3)
successe che Francesco a Greccio predispose il suo famoso presepio vivente, facendo portare, tra l’altro, fieno, bue e asino
Contigit autem anno tertio ante obitum suum, ut memoriam nativitatis pueri Iesu ad devotionem excitandam apud castrum Graecii disponeret agere, cum quanto maiore solemnitate valeret.
Ne vero hoc novitati posset adscribi, a Summo Pontifice petita et obtenta licentia, fecit praeparari praesepium, apportari foenum, bovem et asinum ad locum adduci
(Bonaventura, Legenda Major Sancti Francisci, Opusculum secundum, cap. 10 – De studio et virtute orationis, 7)
ma un giorno intervenne il pontefice a mettere i puntini sulle “i”:
Da queste parole la tradizione ha da sempre giustamente dedotto che Gesù sia nato in una stalla, un ambiente poco accogliente – si sarebbe tentati di dire indegno – ma che, in ogni caso offriva la discrezione necessaria per codesto santo evento (…) La mangiatoia fa pensare agli animali, perché è lì che essi si cibano. Ma il Vangelo non parla in questo caso di animali”
(Joseph Ratzinger, L’infanzia di Gesù, pp. 74 e 76)
e allora torniamo a uno dei padri della nostra cultura contemporanea:
“Te piace ‘o presepe?”; “No, nun me piace”
(Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello)