Non si può che essere lieti quando l’alta cultura diventa tema di discussione a livello di massa e sulla rete si inseguono commenti, riferimenti, citazioni. Più difficile è sentirsi soddisfatti quando si cerca nel pensiero di autori lontanissimi non suggerimenti per modi di guardare il mondo, per atteggiamenti culturali o morali, ma addirittura risposte specifiche a problemi posti nel nostro oggi, in un contesto inevitabilmente totalmente diverso.
È probabilmente inutile cercare nelle pagine bibliche dedicate ad Adamo ed Eva qualche indicazione sull’educazione dei figli, così come sfogliare le opere di Tommaso d’Aquino per trovare risposte ai nostri interrogativi riguardanti divorzio, aborto, omosessualità o diritti della donna. Bisogna annullare la storia e pensare che tutti i pensatori si possano confrontare reciprocamente come membri di una comunità sovrastorica in cui si parlano tra loro in un eterno discorso nel quale cerchiamo di cogliere qualche suggerimento valido per le questioni che ci assillano oggi.
Indubbiamente tentativi di questo genere sono stati fatti e sono anche legittimi, a condizione di sapere che cosa si sta facendo e quali sono i presupposti storici e filosofici sui quali si fondano. Se si ritiene – come negli ultimi 150 anni hanno ritenuto Leone XIII o i neotomisti – che esista una philosophia perennis, vi si possono cercare risposte che si crede non siano condizionate dai tempi della storia.
La cosa si complica quando si accostano, come rappresentanti di una opinione comune, pensatori lontani migliaia di anni tra loro e quando il tema a proposito del quale li si interroga è senza dubbio un tema eterno su cui è facile trovare risposte apparentemente simili, se pur differenti per i contesti e i mezzi a cui i diversi autori evidentemente pensano.
La cosa si complica ancora di più se la questione all’ordine del giorno, che stuzzica riferimenti eruditi, è visibilmente una falsa questione, sollevata solo per fare polemica e richiamare facili consensi, come quella della legittima difesa che da qualche giorno occupa lo scontro politico italiano per progetti di legge che, non potendo aggiungere nulla a quanto già previsto dal Codice Penale (art. 52), si limitano a riorganizzare alcune affermazioni in modi a volte curiosi, a volte incomprensibili.
La cosa si complica ulteriormente, se si tiene presente che su questo nulla il richiamo alle auctoritates del lontano passato compare nelle parole del segretario della Lega, Salvini, che sembra non essere incline normalmente a questo genere di retorica. Prendendosela con gli avversari politici, a suo parere contrari al riconoscimento della legittimità della difesa personale, cita come sostenitori della legittima difesa sant’Agostino – accompagnandolo con la facile battuta: altro pericoloso comunista – e san Tommaso.
Non si può negare che i grandi pensatori medievali abbiano ammesso la liceità di opporsi alla forza con la forza, tenendo anche conto che tale principio è già individuabile esplicitamente in Ulpiano (II-III secolo d.C.) e che nel Digesto di Giustiniano entra proprio una sua formulazione, ancora oggi famosa nel noto latinorum degli avvocati: vim vi repellere licet.
Allora, per puro amore di discussione, proviamo a giocare allo stesso gioco e vediamo cosa si possa imparare dalle parole di Agostino sulla legittima difesa; non si può non essere sorpresi quando, nella Lettera 47 si legge: Non mi piace poi il parere per cui uno possa uccidere delle persone per non essere ucciso da esse; salvo che a farlo non sia un soldato o chi è obbligato al servizio pubblico, salvo cioè che uno agisca non per se stesso, ma a difesa degli altri o dello Stato di cui fa parte, qualora è legittimamente autorizzato e la sua azione è conforme alla sua funzione. Pur con tutte le avvertenze critiche che si richiamavano all’inizio, sembra di essere di fronte a un sostenitore dello stato di diritto.
E non basta. Poche righe sotto, richiamando il vangelo di Matteo e il noto consiglio di porgere l’altra guancia, Agostino assume nuovamente un tono da amministratore del potere e scrive: Per questo è stato detto: Non resistiamo al male, perché non prendiamo gusto nella vendetta che pasce l’animo col male altrui, e non perché trascuriamo di castigare gli uomini.
In conclusione dunque, se pur contro voglia si adotta il metodo di Salvini, occorre ammettere che l’antico vescovo di Ippona, rispetto ad alcuni nostri contemporanei, è più dialettico, più analitico, più sensibile alla difesa di rapporti regolati dal diritto.
L'ASINO DI BURIDANO
Premesso che non mi interessa criticare Salvini, o chiunque altro, in quanto tale (non facendo parte del pubblico di Pomeriggio cinque); tre osservazioni al volo, senza alcuna pretesa di organicità. E soprattutto di utilità: dal momento che le argomentazioni di Salvini di solito fanno presa su un tipo di elettorato sordo alle sottili (ed ovviamente inutili) disquisizioni filosofiche.
1) Anche ammettendo le argomentazioni a favore della legittima difesa da parte di Agostino, non si capisce perché Salvini dovrebbe ritenerle valide dal momento che vengono da un pericoloso comunista.
Dal momento che, per un leghista, un comunista ha sempre torto (per assioma) quest’ultimo deve, appunto, avere sempre torto.
Citarlo a mio favore se, e solo se, concorda con me è opportunista ed illogico. Ma, per concedersi una volta tanto, una banalità: effettivamente coerenza e logica non sono fra i requisiti più richiesti agli attuali leaders politici.
2) Gli scritti di tutti i pensatori possono essere strumentalizzati come si vuole. Per citare un altro esempio contemporaneo, io posso tranquillamente far apparire papa Francesco come il più grande agostiniano ed anti-agostiniano. L’apertura del pontefice verso gli omosessuali contraddice decisamente il Sermone 151 (4, 4) dell’ipponate. Nel contempo, però, non posso che riconoscere in questa stessa apertura e tolleranza un atteggiamento simile a quello agostiniano nel periodo in cui polemizzava con i donatisti. Tolleranza presumibilmente sorretta da affini, pragmatici, motivi. Dunque il papa è agostiniano? La risposta è che si tratta di una domanda inutile.
3) Infine. Lei cita l’importanza della contestualità storica. Affianchiamoci la contestualità, direi, esistenziale. Mi spiego meglio: anche una frase terribile risente molto del contesto e dell’intenzione con cui la si pronuncia. Ancora al presente, se mi è concesso citare la mia ultima fatica teatrale. Per quanto paradossale possa sembrare (per ragioni fisico-dinamiche), una locomotiva di Guccini è assai meno distruttiva e pericolosa di una ruspa di Salvini.