Il recente saggio di padre Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa apparso su La Civiltà Cattolica, “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo” riguarda gli Stati Uniti, ma può benissimo essere letto in una prospettiva italiana. Dio è sempre più spesso un’arma politica anche nel dibattito politico italiano, ed è un Dio che, lo sappiamo bene, non vede di buon occhio abiti diversi dai nostri, per alcuni è così “cattivo” da non giustificare affitti a coppie gay o ingressi in templi altrui per pregare, con chi usualmente lì prega. Il “In God We Trust” con cui comincia il saggio di cui molti hanno opportunamente discusso in tutto il mondo e anche in Italia è sempre più elaborato in un discorso in cui noi sappiamo tutto di Lui, tanto che Lui sembra non avere più nulla da dire.
Il caso più eclatante, e assordante, è quello di come viene letto il suo amore per noi: chi siamo noi? Noi siamo i figli di figli di figli di figli nati qui. E così si arriva ad alcuni ambienti cattolici contrari allo ius soli, guidati da un Dio così poco cattolico da non aiutare a riconoscere l’italiano che è in chi qui è nato, da Suoi figli, provenienti però da altri Paesi. Il professor Andrea Riccardi lo ha scritto autorevolmente, sul Corriere della Sera, ma non ho l’impressione che abbia convinto proprio tutti. E’ dunque un davvero mal digerito Alighieri il padre dell’ “In God We Trust” italiano, cioè un Dio che condanna, giudica senza appello? Forse. Ma in base a quali criteri? E’ almeno qui che Alighieri viene frainteso. I criteri arrivano all’integralismo anche davanti a casi come quelli del bambino britannico che doveva essere curato anche in assenza di cure, tenuto in vita comunque, anche se il suo organismo non poteva resistere, i giudici ritenuti “carnefici” senza averne letto la sentenza, che non diceva di staccare la spina, ma che se i medici avessero ritenuto, potevano. Così il comandamento “non uccidere” sembra contemplare anche l’accanimento terapeutico, fino a non chiedersi, in modo sorprendete, se per caso qualcuno stesse immaginando un percorso nel quale poteva alla fine anche determinarsi una sperimentazione, in ipotesi mai tentata su cavie, su un bambino.
Passare alla questione dei migranti è molto facile, forse troppo, ma va fatto. Perché chi invoca l’italico “aiutiamoli a casa loro” ha trascurato i 4 immigrati tedeschi che ci hanno aiutato a casa nostra, qui in Europa, fermando lo squilibrato immigrato che ha sparso sangue ad Amburgo? Ci sarebbe molto da dire al riguardo, sul rapporto tra fede e accoglienza, tra valori non negoziabili e valori negoziabili, ma la brevità che intendo dare a questo scritto mi obbliga a sorvolare.
Per arrivare a un’altra ferita, per me importantissima. La reazione di tanti “credenti” alla fotografia di padre Sosa, il padre generale dei gesuiti immortalato orante in tempio buddista. Quella fotografia testimonia “l’inculturazione”, la forza della preghiera? Testimonia l’amore di Dio? E cito un carissimo e autorevolissimo amico che mi ha raccontato di una telefonata ricevuta da un oratorio lombardo. Lo sollecitavano a invitare e accompagnare degli studenti musulmani a visitare quell’oratorio. Lui, appassionato uomo di dialogo, lo ha fatto. Ma la mattina prima della visita ha ricevuto una telefonata di chiarimento: tutto confermato, sia chiaro, ma chiarisca agli “amici” che non potranno pregare. “Essendo il luogo in questione un oratorio mi è parso molto logico”, ha chiosato con addolorato sarcasmo. E’ questa paura della preghiera che ha spinto “qualcuno” a sollecitare quella telefonata chiarificatrice. Fa paura la preghiera, è vero, soprattutto se unisce, se avvicina, se stabilisce quel ponte con Dio che molti, ritengo, vogliono sostituire con preghiere-muraglie. Fa paura la preghiera perché fa paura l’altro? E pensando a questo mi è tornato in mente padre Dall’Oglio, e quanto scriveva nel 2007: “ Quest’anno l’Adha, la festa del Sacrificio alla fine del pellegrinaggio abramitico alla Mecca, cade pochi giorni prima di Natale. Da secoli i vicini di casa cristiani e musulmani si rendono vicendevole visita per le feste cogliendo l’occasione per riconciliarsi quando necessario. Perché non farlo anche in Italia? Magari con una telefonata prima: «Pronto? Parlo con il signor Mohammad? Volevo augurarle buona festa. Ha parenti al pellegrinaggio? Dio glieli riporti tutti a casa in buona salute. Vorrei venirla a trovare con mia moglie per farvi tanti auguri di persona». È probabile che i vostri vicini vengano poi a trovarvi a Natale. Ci vorrà pazienza e aiuto dello Spirito Santo per fondare amicizie durature, armonizzare le mentalità, abituarsi alle diverse sensibilità.”
Intanto altri discutevano di quanto dovesse essere alto il colletto dei “bravi” preti. Ma per tornare allo specifico del caso-Sosa, se poi qualcuno ritenesse che il suo sia stato un atteggiamento sincretista, devo dire che ho sempre pensato che la fede non esista separata dal contesto culturale. Si può estrarre la fede dal contesto educativo, e padre Sosa forse doveva farlo nonostante Matteo Ricci? Non occorre sforzarsi di fare “propria” un’altra cultura? L’accusa di sincretismo molto spesso è, a mio avviso, l’accusa di chi ha paura e vive “barricato”. E’ una barricata certo “integralismo” impaurito dell’altro, degli altri, anche di quelli che vivono qui da noi? Come spiegarsi altrimenti che si scriva che Milano, dopo Londra, potrebbe diventare la capitale europea della finanza islamica senza riflettere sul fatto che Milano non ha una moschea? Il dio denaro, anche se islamico, non fa paura, se rinunciasse a passare per le mani di oranti musulmani. E invece, forse perché essendo figlio di Ismaele, l’escluso, l’islam in Italia, cioè italiano, potrebbe concorre a quella teologia dei poveri di papa Francesco che vede negli esclusi di oggi gli eletti di domani. No, meglio non domandarsi, meglio un mondo a tornelli come i supermercati, dove merci e capitali possono entrare ma le persone no, i loro tornelli vanno nel senso opposto.
Ovviamente in questo “universo” c’è poco spazio per la tutela ambientale, o per la condanna del traffico di armi: se queste ultime vengono viste come un investimento per difenderci dall’aggressore, l’ambiente semplicemente sparisce: e, come scrivono Spadaro e Figueroa, anche qui i disastri o spariscono o divengono “ segni che confermano la loro concezione non allegorica delle figure finali del libro dell’Apocalisse e la loro speranza in cieli nuovi e terra nuova. E’ qui che forse si disvela il volto universale dell’integralismo, visto che proprio l’Apocalisse è centrale in altri integralismi, in altri visioni che vedono nell’accelerare la fine dei tempi l’arma segreta.
Scrivono Spadaro e Figueroa: “Su quale sentimento fa leva la tentazione suadente di un’alleanza tra politica e fondamentalismo religioso? Sulla paura della frattura dell’ordine costituito e sul timore del caos.” E’ il caos, che da noi è la crisi economica, l’arma segreta di un crescente integralismo nostrano? E’ la paura lo strumento con cui il caos viene percepito come minaccia per l’ordine costituito? Io credo di sì, perché la paura genera repressione, che genera estremismo, che legittima la paura. Da noi come da “loro”.