Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 19 febbraio 2022
Giovanni Cominelli
LE PROTESTE DEGLI STUDENTI E LA DISERZIONE EDUCATIVA DEGLI ADULTI
Dopo anni di manifestazioni di piazza ricorrenti dei nostri studenti, dopo le “pantere” del 1989-90, dopo le “onde anomale” del 2008-09 e le decine di altre innominate, dovremmo aver appreso a interpretare anche queste dell’epoca Covid, quelle del 2020 contro la DaD, quelle di questa coda d’inverno 2022 contro l’alternanza scuola-lavoro e contro la seconda prova scritta dell’Esame di maturità. Come in un fiume in piena, vi si mescolano pulsioni giovanili generose e gioiosamente espressive, ma anche opinioni sotterranee prodotte dalla società civile, autocoscienze indotte dalle narrazioni dei mass-media e dei social. Più che mai gli eventi si presentano, qui, avvolti dalle interpretazioni. Per comprendere occorre sciogliere il groviglio dei fatti e delle proiezioni ideologiche.
In realtà, il ragazzo di Udine non è morto nell’esercizio dell’alternanza scuola-lavoro, bensì mentre svolgeva il suo ultimo giorno di lavoro in azienda, nell’ambito del sistema cosiddetto “duale”, che è una modalità di apprendimento basata sull’alternarsi di momenti formativi “in aula” e momenti di formazione pratica in “contesti lavorativi”. Lorenzo Parelli non era uno schiavo dello sfruttamento capitalistico, ma un giovane che cercava una più rapida transizione dal mondo della scuola a quello del lavoro, accorciando i tempi di passaggio tra l’esperienza formativa e quella professionale, come fanno moltissimi suoi coetanei in Italia e in Europa.
In realtà, la seconda prova scritta dell’Esame di maturità viene proposta dalla Commissione interna di Istituto, non dal Ministero; dunque, in relazione ai programmi effettivamente svolti, in un contesto in cui l’Esame cosiddetto di maturità promuove ormai quasi il 100% di chi si presenta. Non si tratta certo di una Danza macabra, nella quale tutti finiscono inghiottiti nelle fiamme dell’Inferno. I dichiarati maturi, alla fine di tale esame-farsa, rischiano, semmai, di finire nel Limbo formativo e professionale.
Perché, dunque, le manifestazioni studentesche, muovendo da fatti reali, gridano slogan falsi?
Nella risposta a questa domanda incontriamo la società degli adulti: i genitori, i giornalisti, gli influencer, i politici… Dietro le manifestazioni studentesche stanno loro, con i loro opportunismi, le loro ideologie, i loro tic, le loro fobie, la loro povera etica pubblica, che essi trasmettono alle giovani generazioni.
Le generazioni adulte hanno introiettato e trasmesso ai propri figli i l’idea che la scuola è un universo a parte, “un metaverso” artificiale da tenere separato dal mondo reale “là fuori”, dove, ahinoi, si lavora e si suda, si fanno sacrifici, si rispettano orari e gerarchie tecniche e ci si assume responsabilità. La scuola diventa il mondo di Peter Pan, un mondo dove non si viene sottoposti a prove ed esami. Un mondo da far durare il più a lungo possibile per tutta una lunga adolescenza, fino oltre i trent’anni.
Questi adulti tengono i loro figli all’oscuro del fatto che nel mondo contano, da sempre, i saperi e le competenze. E che sarà tanto più facile acquisirli quanto più ci si sarà mischiati con il mondo del lavoro e delle professioni, già nel corso degli anni della formazione scolastica. Dimenticano di spiegare ai figli che una severa certificazione finale è la condizione per una percezione veritiera di sé e per un’autocollocazione realistica nel mondo. Alimentano nei figli l’idea che sono le emozioni, non l’intelletto, l’organo privilegiato della conoscenza della realtà. Che ciò che conta sono i sogni, i desideri, perché la realtà è ciò che siamo e vogliamo essere noi: il nichilismo inconsapevole e il superomismo di fatto dell’Homo Deus. Così, in una classe i ragazzi sono arrivati a rivendicare la democrazia, consistente, alla fine, nel decidere da parte dei ragazzi ciò che devono studiare, cioè i programmi e gli indirizzi. Così “ha senso” che, come viene raccontato su questo giornale, uno studente iscritto al Liceo scientifico sia contrariato e vagamente terrorizzato, perché la seconda prova verterà sulla Matematica. Molto meglio una bella dissertazione sul Dasein heideggeriano. O no? Uno tsunami di soggettivismo, che fatalmente si rovescia in depressione e paure e crisi di panico degli adolescenti e in abbandono alla corrente del tempo, senza un progetto.
“Siamo quelli del Covid!” viene evocato come slogan vittimistico e giustificativo. La pandemia viene usata dai ragazzi e dai loro genitori come un alibi. Di certo, è un velo che copre la viltà educativa di una generazione adulta, che ha perduto il desiderio e la responsabilità dell’educare. Educare: consiste nell’accompagnare i ragazzi nella “fatica di vivere”, non nel tenerli nell’”ozio di vivere”; nel testimoniare ai loro occhi la realtà, con le sue possibilità e i suoi vincoli; nel dire dei No allo spontaneo “libero sviluppo dell’Io”. Nonostante le difficoltà, gli Istituti scolastici sono riusciti ad assicurare le prestazioni fondamentali del Welfare educativo, grazie all’impegno di migliaia di docenti. Ma proprio questa tenuta della scuola ha messo in luce la fragilità crescente delle famiglie, impreparate a educare i figli. In questi giorni il Parroco di un piccolo paese ha dovuto scrivere una lettera ai genitori, perché i loro pargoli, ospiti dell’Oratorio e gestiti da giovani volontari, distruggono suppellettili, imbrattano le pareti e svuotano le bombole antincendio.
La diserzione educativa non resta senza conseguenze sul tessuto sociale del Paese. I “male-educati”, che però dispongano di un buon capitale relazionale familiare, riusciranno lo stesso a stare a galla. Chi non ne dispone, sarà sommerso dalla vita. Donde diseguaglianze sociali crescenti. L’altra conseguenza è che il fallimento delle comunità educanti richiama fatalmente gli interventi dello Stato, sia quello del Wlfare socio-sanitario-psicoterapeutico sia quello repressivo: forze dell’ordine, magistratura, carceri… Prima o poi, gli stessi che praticano o invocano il lassismo educativo si trovano a chiedere l’intervento repressivo dello Stato.
L’Italia è piena di famiglie che “non fanno mancare nulla” ai loro figli, né un cellulare in occasione della prima comunione né le scarpe di marca per la palestra né una playstation. A quanto pare, fanno loro mancare l’essenziale.