Per molti la giornata di Sabato è stato il “requiem” per almeno un paio di cose importanti. La fine finale della seconda Repubblica per alcuni. Per tutti, la morte politica del Partito Democratico.
Tuttavia questo fine settimana è anche stato – nonostante l’esito finale – l’inizio di qualcosa. La prima elezione interna ad un parlamento fortemente influenzata dalla rete. La prima elezione di un Presidente di un Paese importante come continua ad essere – per dimensione – l’Italia dell’era Facebook.
Mai così potente, continua, in tempo reale è stata la pressione sull’esito di un atto interno ad una istituzione dell’opinione pubblica, o perlomeno di quel pezzo – assolutamente crescente – di opinione pubblica che si esprime, anzi che organizza la sua espressione attraverso la rete, ed in particolar modo attraverso Facebook. La cosa che, in particolar modo, ha maggiormente pesato sono state non le pagine nate per raccogliere le adesioni ad un certo candidato (come quella di Vision e Tabule rase per la Bonino); ma il bombardamento a cui sono stati sottoposti dalla rete i parlamentari del Partito Democratico.
Ormai nessun politico può più evitare di annunciare quello che ha deciso con i propri colleghi attraverso un social network e qualsiasi fosse l’annuncio fatto dai rappresentanti del PD è stato, in questi giorni, sistematicamente coperto di insulti da parte dei militanti stessi. Un contagio, una valanga che non può non aver ferito molti deputati, fatto temere di aver perso qualsiasi capitale di consenso, disorientato, infine, il gruppo dirigente del PD al punto da fargli perdere qualsiasi coerenza. Tattica o strategica.
Indubbiamente, pesano nella vicenda delle scorse settimane antiche divisioni, vecchie incapacità di capire i bisogni delle persone e semplice incompetenza. Tuttavia, la rete ne ha moltiplicato gli effetti. Quelle che erano contraddizioni con le quali un partito fino a qualche tempo fa avrebbe potuto convivere per altri anni, sono esplose portando ad una deflagrazione finale delle strutture di quel Partito.
Forse ha ragione, Concita De Gregorio quando dice che quello dell’altro ieri è l’ultimo atto della democrazia parlamentare. E forse, persino, Rodotà che della democrazia diretta ha denunciato i rischi sente, adesso, di aver cavalcato un fenomeno che affascina e fa paura. Ed ha torto Cacciari, hanno torto gloriosi scienziati della politica quando si limitano spocchiosi a rimproverare Grillo di non aver letto abbastanza. Mentre non è chiaro se lo stesso Barca, nel delineare la forma di un Partito del futuro, colga per intero la radicalità del cambiamento.
Va bene denunciare i rischi della democrazia diretta. Tuttavia è intellettualmente non onesto dimenticarsi quanto inefficace sia stata in questi anni la democrazia incrostata da rappresentanze che diventavano intermediazioni autoreferenziali. È oggettivamente possibile immaginare che una scelta online, aperta a tutti i contribuenti sulla base di curricula trasparenti, possa fare peggio di quello che succede oggi per la scelta di Presidenti e vertici di organizzazioni così nevralgiche come l’Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici o la RAI? È sicuro Cacciari che la gente riesca a fare peggio di quanto hanno fatto in passato i Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, laddove oggi non è neppure possibile accedere ai profili dei dirigenti di organi di vigilanza così essenziali per controllarne la professionalità e l’assenza di conflitti di interessi con chi deve essere vigilato? Francamente questo tipo di considerazioni appaiono sempre di più tutt’altro che estremistiche. Usano solo un po’ di quel buon senso la cui scomparsa è oggi lamentata sul Corriere della Sera da due signori miti come Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.
Napolitano è uomo d’onore e non è più neppure il caso di premettere ciò a qualsiasi ragionamento. Ma la dipendenza di una intera società da un uomo che ha un anno in più della regina Elisabetta è una umiliazione. E lui, il grande nonno d’Italia, rischia in questo contesto di essere il coperchio messo su una pentola a pressione. Motivo per il quale da persona saggia interpreterà questo ritorno come assolutamente eccezionale e destinato a durare il tempo di accompagnare il sistema ad una transizione che deve essere veloce.
La verità è che siamo in presenza di una discontinuità tecnologica, di una di quelle novità alle quali lo stesso Marx attribuiva la forza di poter modificare tutte le strutture e le infrastrutture di una società, compresi i processi attraverso i quali si formano decisioni collettive. Grillo, da solo, non è la soluzione e sicuramente a Casaleggio manca la sistematizzazione di una teoria di ciò che sta succedendo. È certo però che tornare indietro all’autorevolezza di un Presidente della Repubblica formatosi nella Guerra Fredda non può essere la soluzione, anche se era giusto, forse, prendere tempo per non essere travolti.
Di sicuro, però, la crisi è anche mutazione e mai lo è stata come in questo caso. È una crisi profonda che non è solo italiana o del PD. E, paradossalmente, l’Italia sta facendo da laboratorio per il resto del mondo occidentale che inventò la democrazia.