LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

Le domande soffiano nel vento. Kennedy e Miyazaki a Venezia

Le dure repliche delle storie, ieri sugli schermi di Venezia. Parafrasando Hegel, ecco l’ennesimo film sull’omicidio di John Fitzgerald Kennedy (il prossimo 22 novembre sarà trascorso mezzo secolo dal giorno fatale di Dallas), uno spaccato della  Grecia d’oggi con incesto e miserie piccolo-borghesi, e l’ultimo  capolavoro del maestro giapponese dell’animazione Hayao Miyazaki, che ha preannunciato il ritiro dal cinema.  Un trittico in concorso non proprio da urlare “allegriaaa”.

In Parkland il giornalista e inviato di guerra Peter Landesman, al primo impegno dietro la macchina da presa propiziato da Tom Hanks nelle vesti di produttore, rivisita le ultime ore di JFK e il trauma che l’assassinio del presidente provocò negli americani attraverso un mosaico di personaggi “minori” legati ai fatti. Gli agenti della sicurezza presidenziale, dei servizi segreti e della FBI, i medici che soccorsero la vittima al Parkland Memorial Hospital (sulle prime pare una nostra Asl), il fratello e la madre di Lee Oswald che sparò a JFK e fu ucciso il giorno dopo, il cineamatore Zapruder che riprese la scena cruciale in 8 mm da una ventina di metri… C’è anche Jacqueline, sebbene per pudore e inimitabilità sarebbe stato meglio vederla soltanto nelle immagini di repertorio cui pure Landesman attinge. Un cast stellare (Zac Efron, Jackie Earle Haley, Colin Hanks, Marcia Gay Harden, Billy Bob Thornton, Paul Giamatti e altri) per un film-inchiesta tempestivo in vista del cinquantennale, ma senza l’energia e lo sdegno del JFK di Oliver Stone (1991).

Se è la violenza a cambiare la Storia, ve n’è anche una versione privata, domestica, spesso insospettabile, come si è visto qui a Venezia nel film di Groening (La moglie del poliziotto) e ieri è stato ribadito da Miss Violence del trentacinquenne greco Alexandros Avranas. La trama si apre col suicidio di una undicenne durante la sua festa di compleanno e si sviluppa/avviluppa in un terribile lessico familiare fatto di sesso tra congiunti, induzione alla prostituzione, menzogne e degrado sotto il peso di un padre padrone che infine pagherà con la vita. Una variazione sul tema della vendetta di Medea con una vaga eco della Grande Crisi ellenica.

Le vent se lève, il faut tempter de vivre. A questo verso del Cimitero marino di Paul Valéry – “S’alza il vento, bisogna osar di vivere” – si è ispirato Hayao Miyazaki, 72 anni e già Leone d’oro alla carriera nel 2005, per il nuovo film d’animazione che ha voluto comunque schierare in gara. Kaze Tachinu (Si alza il vento) è struggente e poetico, con un che di testamentario confermato a Venezia – in assenza del regista – dal presidente dello Studio Ghibli che ne produce tutti i film, Koji Hashino. “I dettagli del ritiro saranno spiegati a Tokyo in una conferenza stampa la prossima settimana”. Si alza il vento è largamente autobiografico nel ricordo del padre di Miyazaki che possedeva una fabbrica di componenti per aerei, tra cui i famosi caccia “Zero” citati nel film, e della madre malata di tubercolosi.

E’ la storia di un sogno – il volo, la leggiadria, il genio di librarsi in aria – del protagonista Jiro. Egli è oniricamente guidato dal Giovanni Battista Caproni, pioniere dell’aviazione e ingegnere aeronautico, costruttore di imbattibili motori (1886-1957). Impossibilitato a divenire pilota per la miopia che lo affligge, Jiro attraversa la storia del Giappone dal  grande terremoto del Kantō nel 1923 alla seconda guerra mondiale, innamorandosi fin da adolescente della dolce Nahoko che ritroverà tisica anni dopo. Sempre coltivando lo spirito ventoso che spira in ogni fotogramma.

Miyazaki è autore di capolavori quali Il castello di Cagliostro, Il mio vicino Totoro, Porco rosso in cui parimenti si citavano i motori Caproni e si sorvolava l’Adriatico (un mito italiano!), La città incantata per cui nel 2003 vinse l’Oscar non ritirato per protesta contro la guerra in Iraq, Il castello errante di Howl e Ponyo sulla scogliera. Ora Si alza il vento, più adatto a stemperare il disincanto degli adulti che a conquistare i piccini, è una sfida vinta alla pesantezza/ragionevolezza, alla stessa forza di gravità (speculare a Gravity di Cuaròn). Un compendio nipponico che evoca le Lezioni americane di Italo Calvino con i suoi valori per il nuovo millennio, effettivamente tutti presenti nel film di Miyazaki: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza. Aggiungeremmo: malinconia.

(Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 2 settembre 2013)

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