ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

L’AUTUNNO TEDESCO E LA FRAGILITA’ DELLE DEMOCRAZIE EUROPEE

L’autunno tedesco e la fragilità delle democrazie europee
Giovanni Cominelli·3 Settembre 2024Cade, dunque, con le elezioni in Turingia e in Sassonia, anche il “bastione Germania”: anch’essa entra in un’area di instabilità socio-politica. La Germania cessa definitivamente di essere a direzione Bundesrepublik, ridiventa la Germania degli anni ’30 del ‘900, con una democrazia istituzionalmente più solida di quella di Weimar, ma con problemi socio-economici e sociali crescenti e con un ritorno di brunismo e di rosso-brunismo, che in passato hanno spianato la strada al nazismo.

Sottosviluppo e immigrazione paiono essere il motore più visibile dell’avanzata di “Alternative für Deutschland” nella ex-Germania Est. Eppure, i Länder dell’Est sono stati riempiti di milioni di marchi e di Euro e da pochi immigrati, nonostante la vulgata. Questi, infatti, preferiscono il West-Deutschland.
E allora?
Il “male tedesco” è, in primo luogo, ”locale”. Dagli anni ’30 del ‘900 la Germania-Est non ha più conosciuto forme di democrazia liberale e di economia di mercato: il passaggio dal nazismo al comunismo è stato “naturale”.

Ma il male è “europeo”: è la crisi della democrazia nazionale, della “democrazia in un Paese” qui in Europa. Stanno venendo al pettine le contraddizioni tra le dinamiche globali dell’economia e della finanza e il fragile tessuto della nazionalità/statualità della politica e delle politiche.

Le classi dirigenti di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Spagna, d’Italia… hanno continuato a filtrare il mondo e a far politica interna e estera sulla base del consenso democratico dei propri elettorati. Potevano fare diversamente? No. Perché non soltanto i loro elettorati hanno continuato a collocarsi mentalmente nel mondo in base a immarcescibili vissuti e categorie, ma anche perché le strutture statuali e giuridiche sono nazionali.

Eppure è una misura che non basta più. La causa ultima non è il collasso dell’ordine mondiale di Yalta. È la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione della comunicazione e, si intende, l’ascesa di nuovi soggetti mondiali: Cina, India, Nigeria, Brasile ecc… Quel collasso è la conseguenza.

È cambiata la struttura del mondo. La globalizzazione ha finora impedito che si ridisegnasse a tavolino un nuovo Trattato di Westfalia, che definisse un nuovo “ordine mondiale”, come auspicava l’ultimo Kissinger. La globalizzazione è politicamente, giuridicamente e istituzionalmente ingovernabile dagli Stati nazionali.

I quattro nazionalismi globali
Le opinioni pubbliche e i pubblici elettorali non vedono alternative possibili alle minacce della globalizzazione, pur sfruttandone tutte le opportunità, se non una: lo Stato-nazione. Di qui il ritorno del nazionalismo.

Putin, Trump, Xi Jin-ping e Narendra Modi hanno rilanciato la sfida dello Stato-nazione. Il primo, perché reduce dalla “più grande catastrofe geopolitica del ‘900” – così ha definito il crollo dell’URSS; il secondo, facendosi interprete dalla crisi di egemonia degli Usa e delle difficoltà socio-economiche e identitarie della classe operaia bianca americana, insidiata dai Latinos; il terzo, autoproclamatosi leader del riscatto finale della Cina dal “Secolo delle umiliazioni” 1839-1949; il quarto, postosi come leader religioso-profetico e politico dell’India e dell’induismo.

Con qualche differenza tra i quattro: quello russo non è uno Stato-nazione, ma uno “Stato-nazioni” e perciò rivendica territori ex-imperiali, quale l’Ucraina; Trump rinuncia definitivamente a collocare gli Usa come baricentro dell’ordine mondiale, per affidare loro la più “modesta” missione di difendere la propria egemonia economica e finanziaria, mediante accordi/conflitti bilaterali; Xi-Jin-ping tende a porsi quale fabbrica del mondo, pratica un imperialismo commerciale su scala mondiale, rivendica Taiwan quale parte integrante dell’antico territorio cinese; Narendra Modi è, per ora, più rivolto ad affermare l’egemonia politico-religiosa indù rispetto a oltre 200 milioni di mussulmani indiani.

Quale che sia il giudizio storico-politico che si dà di queste quattro manifestazioni del nazionalismo, occorre riconoscere che hanno tutte il “phisique du rôle”: numero di abitanti, potenza economica e/o militare, influenza sul mondo. Il loro discorso ha una sua forza materiale.

La “Germania in autunno” e il nazionalismo straccione degli europei
Quello degli Inglesi e dei Francesi – che continuano a partecipare per diritto al Consiglio di sicurezza dell’ONU – e quello dei Tedeschi e degli Italiani ecc… è un nazionalismo straccione.

Il nazionalismo non ha più fondamento storico-politico, è diventato un “signaculum in vexillo”, da affiggere sugli stendardi nel corso delle campagne elettorali. La Nazione mantiene per ciascuno di noi tuttora un fondamento storico-culturale e identitario inconcusso.

L’ ”homo democraticus” globale, apolide, senza radici e senza storia è una costruzione intellettuale di Google, di Amazon, di Telegram, di X e dei loro intellettuali organici. Ma la riduzione unilaterale della Nazione a “popolo”, “etnia”, “colore”, “identità” non solo è pericolosa, ma tradisce la storia e l’identità delle Nazioni europee, quale si dipana da Atene, Gerusalemme, Roma. Il nazionalismo diffuso, che muove da destra nei principali Paesi europei e che lambisce la sinistra in Francia e in Germania, costituisce la minaccia più grave per questa eredità. D’altronde il Fascismo e il Nazismo sono partiti dalla Nazione, dal Popolo, dal “Volk” bruno e rosso-bruno giù giù per la china fino ad Auschwitz.

Auschwitz può tornare!

C’è coerenza nel discorso di AfD – Alternative für Deutschland – nel quale identità nazionale, neo-nazismo, filo-putinismo convergono, fino al sostegno dell’invasione russa dell’Ucraina. La stessa logica si ritrova nel “Bündnis Sahra Wagenknecht – Vernunft und Gerechtigkeit” (Lega Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia). La politica estera, infatti, è conseguenza di un’idea di “homo europeus”.

Che l’Italietta neo-nazionalista e sedicente pacifista, con sfumature diversamente accentuate tra Salvini, Crosetto, Taiani e Schlein di cecità geopolitica e di viltà nazionale, chieda di cedere, in tutto o in parte, alle pretese nazional-imperialistiche di Putin è allarmante, non solo perché restituisce l’immagine di un Paese inaffidabile e pronto a cambiare alleanze al primo stormir di fronde, ma soprattutto perché non vede che la posta in gioco decisiva per la civiltà europea e per le Nazioni europee è esattamente l’idea di dignità dell’uomo, di democrazia, di diritti/doveri.

Come impedire il ritorno ad Auschwitz? Non basteranno le prediche filosofiche e teologiche sulla dignità umana e le invocazioni alla pace per incatenare i demoni della storia europea e per tenere a bada gli imperialismi redivivi o nascenti a livello globale. Occorre passare, qui e ora, alla costruzione delle istituzioni della Federazione europea: una sola difesa, una sola politica estera, un solo fisco, un solo sistema bancario ecc… L’Euro non basta, il PNRR neppure, Fitto neppure.

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