Circa dieci giorni fa, 57 donne turche – giornaliste, artiste, politiche e accademiche – hanno sottoscritto un appello perché nel loro paese venga definitivamente eliminato il divieto di indossare il velo in settori della vita lavorativa o in spazi politici per donne che ricoprano cariche pubbliche. L’appello in questione, lanciato e sottoscritto da donne laiche che non indossano il velo, chiede al partito al governo che, dopo dieci anni di promesse, la questione non sia ulteriormente differita.
In un momento in cui l’AKP (e soprattutto il suo leader Erdoğan) è al centro delle critiche nel paese e nell’opinione pubblica internazionale per la sua svolta autoritaria, il venir meno di ogni spinta riformatrice che pure ne aveva caratterizzato un decennio di governo, e le reiterate interferenze negli stili di vita dei cittadini non-religiosi, l’appello delle 57 – a cui in poche ore hanno aderito migliaia di persone on line – brilla per la sua intelligenza culturale e politica. Esso ribadisce, in un momento tanto difficile e teso, la scelta di campo di una parte dell’intellighentsia turca, femminile e spesso femminista, per i diritti di tutte le donne, incluse quelle che per scelta decidono di indossare il velo, senza restrizioni all’interno di uno spazio sociale e politico il cui carattere inclusivo non deve essere limitato da forme autoritarie di secolarismo e laicità. Una scelta che è stata alla base di quell’alleanza politica e culturale che per circa un decennio ha sostenuto l’AKP, unendo – in nome della democratizzazione di un paese la cui straordinaria pluralità era stata compressa da decenni di kemalismo – settori del mondo islamico conservatore, liberali e democratici anche di sinistra. Un’alleanza in crisi ormai da almeno un anno, da quando cioè – dopo l’ultima tornata elettorale nazionale – l’AKP ha deciso, soprattutto per volontà di Erdoğan – di intraprendere una mimesi kemalista senza quasi più riserve.
Tra i firmatari dell’appello delle 57 c’è anche Nilüfer Göle, interprete di rara lucidità delle vicende turche, sociologa di grande prestigio e, per noi non ultimo argomento, amica di Reset.
Nelle ultime settimane, dopo aver offerto analisi delle ragioni e dinamiche che possono contribuire a spiegare le proteste e rivolte dell’ultimo mese, analisi che naturalmente rifiutano le deliranti tesi erdoğaniane del complotto internazionale teso a destabilizzare il paese (anch’esse di calco kemalista), Nilüfer Göle è stata oggetto di reiterate e pesanti critiche da parte di esponenti dell’AKP. Accusata di avere una mentalità nascostamente laicista, di aver appoggiato negli anni la causa dei diritti delle donne velate per reconditi interessi personali, di non poter comprendere il punto di vista delle donne mussulmane che scelgono di indossare il velo in quanto laica, Nilüfer sta, per fortuna, incontrando in questi giorni la solidarietà di una parte dell’intellighentsia islamica che non deroga alle ragioni di quella lotta democratizzatrice che era alla base delle suddetta alleanza. Ma la vicenda che investe Nilüfer in questi giorni ha diversi versanti: uno personale, certamente, rispetto al quale non serve neppure notare che solo l’ignoranza più completa della sua storia intellettuale – o la mala fede – può rendere possibili accuse tanto rozze e grossolane; e uno politico-culturale, che sembra certificare quel che già tempo addietro autorevoli esponenti dell’AKP avevano apertamente affermato: l’alleanza tra AKP e intellighentsia liberale e democratica è innaturale, e oggi che l’AKP non ha più bisogno di legittimazioni al di fuori del suo campo, essa può ritenersi conclusa. Liberali e democratici sarebbero insomma stati, come amaramente scritto da Mustafa Akyol, gli ‘utili idioti’ dell’AKP. Insomma, da una parte appelli che ribadiscono le ragioni di una politica di democratizzazione che riguardi tutta la società turca, incluse quelle donne che ancora oggi in nome di un antidemocratico secolarismo non possono vivere liberamente la loro fede o scelta culturale, e dall’altra tanti ringraziamenti e poco cordiali saluti.
Può darsi che tutto ciò induca o costringa il meglio dell’intellighentsia laica e democratica turca, cioè quella che difende le ragioni del pluralismo culturale e religioso (e non quella parte pure consistente che sogna il ritorno dei bei tempi andati del kemalismo senza compromessi) a rivedere le proprie posizioni e scelte di campo. Le alleanze, va da sé, non si possono fare senza interlocutori di buona volontà. Ma come il campo liberale e democratico è composito, e non mostra ovunque la stessa sensibilità per le ragioni di una società multi-religiosa e multi-culturale per storia e presente, così anche all’interno dell’AKP e intorno al mondo culturale con l’AKP simpatetico esistono sensibilità differenti e voci critiche, così come più in generale esistono molte voci islamiche critiche di Erdoğan. Tra questi settori del mondo culturale e politico turco le alleanze sono forse ancora possibili, perché affatto innaturali, e perché da esse (anche) dipende il futuro della Turchia e, in non piccola parte, dell’Europa.