COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

La tremenda domanda del Patriarca non si può più eludere

Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, massima autorità spirituale della comunione ortodossa, ha inviato un messaggio di felicitazioni alla rivista La Civiltà Cattolica per i suoi 170 anni di vita. Già in questo semplice gesto c’è un segno che è impossibile non scorgere: l’amicizia subentrata a quello che è stato il risentimento. Il valore della diversità nella stessa fede è forse il più difficile da riconoscersi, e quando viene testimoniato in modo così gratuito e limpido non può che far riflettere.

Personalmente, però, ho trovato in una frase del patriarca Bartolomeo un invito a riflettere che riguarda necessariamente i non credenti, atei o agnostici che siano. Bartolomeo con estrema semplicità scrive: “È certo che, quando viene a mancare la fede nel destino eterno dell’uomo, la vita porta il marchio della vanità”. Qui c’è un’affermazione che sembra “banalmente di fede”, ma letta nella nostra storia presente diviene una domanda a chi, come me, questo assunto rifiuta.  E’  quella parola, “vanità”, a rendere indispensabile una riflessione non individuale, intimista, ma sociale. Le varie espressioni che nel corso di questi secoli l’umanesimo laico, o ateo, o agnostico ha avuto, hanno prodotto progressi culturali, certamente, ma oggi? Cosa è successo dopo l’89? Perché siamo diventati consapevoli della “vanità”?  Perché dopo quell’epocale ‘89 l’umanesimo “laico” sembra aver perso la capacità di difendere l’uomo nella sua realtà? Tra infinite contraddizioni e difficoltà, arretratezze e debolezze, può dirsi altrettanto per “il loro”?  E’ solo il trauma di quel crollo, che ha riguardato un mondo ma che ha interessato la “spinta propulsiva” di molti e più vasti mondi, o c’è dell’altro? 

Non è detto che in me, in noi, tutto si sia scoperto vano dopo quell ‘89. Ma non è stato così? Quello che pensavamo essere stato il crollo del comunismo reale non è stato il crollo del sogno di ogni Sol dell’Avvenire in tutte le sue possibili e diversissime forme espressive? E perché? E’ una domanda ineludibile, alla quale io spero che il futuro sappia dare una risposta diversa da quella che oggi vediamo. Possiamo ancora sperare che trent’anni non siano bastati a uscire dal deserto della percepita vanità, che siano un arco di tempo ancora provvisorio, dopo il quale vedere la luce di un rinnovato umanesimo “laico” capace di unirsi a quelli di ogni fede nel nome dell’uomo e della sua dignità. Nel campo delle visioni sociali è lo stesso umanesimo cristiano che ci induce a sperarlo, viste le evidenti difficoltà e contraddizioni in cui versa ma anche la sua indiscutibile vitalità. Non è solo buia la notte e tutti abbiamo contribuito a questa crisi epocale, ma la necessità di riconoscere la crisi dell’umanesimo dell’Occidente secolarizzato è quanto ci impone di chiederci il Patriarca. L’Occidente ha smarrito la sua spinta propulsiva perché ha perso fiducia nel suoi valori? E perché? Prosegue Bartolomeo: “L’indissolubile relazione e l’unità d’amore verso Dio e d’amore verso il prossimo, come questa viene espressa nel Nuovo Testamento, è il supremo ethos che ha conosciuto l’umanità durante l’intero suo corso storico”. Un ethos “supremo” non dovrebbe escluderne altri: forse è nell’illusione di sostituirlo, sfidarlo,  l’origine della crisi di un Occidente in crisi?   

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