LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

La terra non trema. Donne contro la crisi nel nuovo film di Winspeare

“Qui non vorrei vivere dove vivere / mi tocca, mio paese / così sgradito da doverti amare”. Il paradosso dell’ispanista pugliese Vittorio Bodini echeggia – improvviso lirico – sulla terra di In grazia di Dio di Edoardo Winspeare. E’ il Salento stupefacente di verde arcaico e di azzurra lontananza là dove gli uliveti e gli orti vista mare costituiscono una promessa contro la povertà, a dispetto della Grande Crisi che addirittura riporta in auge il baratto: verdura per benzina, sottaceti per comparsate. Già, la stessa produzione “a chilometro zero” del film – allestita dal regista con Alessandro Contessa e Gustavo Caputo (quest’ultimo anche nel cast) – si è avvalsa del cambio merci. Girato fra Giuliano, Castrignano del Capo e Tricase, In grazia di Dio arriva nelle sale il 27 marzo dopo l’anteprima nel “Panorama” del festival di Berlino, distribuito dalla “Good Films” di Ginevra e Lapo Elkann e soci.

L’antropologia culturale meridiana cara a Ernesto De Martino e a Diego Carpitella, poi rinnovellata sullo schermo da Adriano Barbano (Il Tramontana del ’66 sarebbe da rivalutare), da Luigi Spedicato, Gabriella Rosaleva e da Winspeare medesimo, resta l’orizzonte delle elegie di questo autore alle soglie dei cinquanta. Nato a Klagenfurt nel 1965 e cresciuto nel castello di famiglia in quel di Depressa, una frazione “di presso” Tricase, è regista fra i più glocal concepibili non solo per i nobili avi britannici del padre, il sangue materno mitteleuropeo e gli studi cosmopolitici. In Winspeare l’ispirazione locale si coniuga con l’afflato universale delle sue storie semplici, da Sangue vivo a Il miracolo, a Galantuomini.

Un modello possibile è qui Ermanno Olmi, cui, mutatis mutandis, si pensa assistendo alle disavventure quotidiane delle quattro donne di tre generazioni differenti di In grazia di Dio, recitato in dialetto leccese e sottotitolato in italiano. Ma anche Kiarostami non è lontano, grazie ai tempi morti dell’azione che invero sono gli unici vividi: il succo è negli interstizi, nelle pause, nei silenzi, negli sguardi.

Piuttosto, la “notizia” è la fine dell’energia indigena ed espansiva della pizzica o taranta che proprio Winspeare contribuì a lanciare quasi vent’anni fa con il film d’esordio, Pizzicata, la cui protagonista Chiara Torelli occhieggia in un monitor di In grazia di Dio, a mo’ di autocitazione. Rito ancestrale e danza bellicosa o erotica, trance ed esorcismo, la pizzica è da tempo un ramo dionisiaco della World Music all’apice ogni estate nella “Notte della taranta” di Melpignano. Il fenomeno si presta a incarnare una Puglia “mitica” che nella musica nasconde o edulcora i suoi conflitti e le sue ferite, in primis l’Ilva di Taranto. Ebbene, di tale narrazione o ideologia non v’è traccia nel nuovo Winspeare: i personaggi magari cantano, però non ballano. Niente tamburelli scatenati. Quando si affaccia, l’allegria è intima, non esibita, assai pudica.

Così il profondo Sud torna finalmente a essere un Sud profondo, pensoso e amareggiato fino all’ira come la corrusca protagonista Adele (Celeste Casciaro, nella vita moglie di Edoardo). C’è lei al centro della trama matriarcale: separata da un uomo simpatico e canagliesco di nome Crocifisso, abita con la madre vedova sessantacinquenne innamorata di un fattore (le sequenze più intense e sobrie nelle due ore e passa della storia), con la sorella aspirante attrice che declama Bodini e manca a un provino leccese per Ozpetek, con la figlia adolescente ribelle e ignorante destinata a rimanere incinta senza sapere di chi. Adele era titolare di una minuscolo laboratorio tessile chiuso per colpa della concorrenza cinese, insieme al fratello che perciò emigra in Svizzera. Costretta a svendere la casa pur di ripianare parte dei debiti verso Equitalia, con le altre si trasferisce in campagna, nel lembo di terra di loro residua proprietà. Vanno avanti fra molti problemi e qualche aiuto in un tugurio senza elettricità, che tuttavia presto emana e riflette una sorta di luminosa speranza, più poetica che politica, senza traccia retorica della decrescita felice. Per dirla con Albert Camus e quindi con Carmelo Bene, “a metà strada tra la miseria e il sole”, ricominciare forse è possibile “nel sud del sud dei santi” mai in grazia di Dio.

Articolo apparso sul settimanale “Film Tv”,  n 12 / 2014 (in edicola dal 25 marzo scorso). Nelle foto di Piero Marsili Libelli, due fotogrammi di “In grazia di Dio” con Celeste Casciaro, Laura Licchetta, Anna Boccadamo, Barbara de Matteis

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