Molti in questi giorni hanno sostenuto che le parole attribuite al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sui “paesi cesso” dai quali non vorrebbe più immigrazione, siano state il solito scivolone, una gaffe insomma. In certo parzialissimo modo lo ha confermato lui stesso, rinnegando la forma-“paesi-cesso” o “paesi-merdaio” a seconda della traduzione di shithole countries che si ritenga più appropriata- ma non la sostanza. Ma la discussione a mio avviso non riguarda solo loro, perché in quelle parole, al di là della forma, c’è un messaggio autentico, sincero e profondo. E lo possiamo desumere dalla teologia alla quale Trump fa in certo qual modo riferimento. E’ la teologia della prosperità.
Una figura di assoluto rilievo nel panorama della teologia della prosperità è il pastore Norman Vincent Peale, il quale ha officiato il rito funebre dei genitori di Donald Trump. Apprezzato anche da Richard Nixon e Ronald Reagan, gli va riconosciuto di essere stato un predicatore di enorme successo. Il libro che scrisse già nel 1952, “Il potere del pensiero positivo”, ha venduto milioni di copie. E che cosa ha scritto Norman Vincent Peale in questo volume? Ha scritto che se credi in qualcosa la otterrai, che se ti dici che Dio è con te nulla ti fermerà. E anche altro ovviamente.
La teologia della prosperità oggi, sostengono studi autorevoli, convince il 17% degli americani. E buona parte di questo 17%, protestanti o cattolici che siano, vota per Trump. E se il suo attacco si radicasse in questo pensiero Trump potrebbe comunicare a costoro: hanno creduto in qualcosa gli abitanti di paesi oggettivamente privi di prosperità?
In un paese dove Dio conta, eccome, tanto che sulla banconota americana è scritto “In Dio crediamo” avere una teologia sulla quale basarsi è importante. In un saggio al riguardo apparso su Vox e relativo a Joel Osteen, esponente di spicco della teologia della prosperità e intitolato “ Perché Joel Osteen crede che le preghiere ti possano rendere ricco” Tara Isabella Burton ha scritto che un altro importante esponente della teologia della prosperità, Fillmore, riscrisse il Salmo 23, inserendovi questi versi: “il Signore è il mio banchiere/ il mio credito è buono”. Centrale nella visione della teologia della prosperità è l’idea di dare parte dei propri averi alla propria chiesa come forma di investimento: dimostrando la propria fede, o fiducia, il parrocchiano riceverebbe cento volte il suo investimento, visto che nel Vangelo di Marco si assicura che colui che soffrirà per Cristo otterrà una ricompensa cento volte maggiore. Al di là di quanto a noi possa apparire curioso o “strumentale”, per così dire, di tale teologia, il suo punto rilevante è che legittima un’economia basata sulla speculazione finanziaria e su guadagni forse eccessivi. Il letteralismo può condurre molto lontano, magari complice una lettura non proprio “letterale” del Salmo 23, ma è una teologia che aleggia negli ambienti più cari a Donald Trump e in cui il molto citato Steve Bannon ha elaborato la sua visione dei rapporti tra culture, e persone.
Probabilmente è anche per questo che il cardinale Cupich, arcivescovo di Chicago, in queste ore ha voluto ricordare e ringraziare Jean Baptiste Point Du Sable, fondatore della città dove lui svolge il suo ministero, immigrato da Haiti negli Usa. Per tenere la sua religione fuori da questa deriva.
Scrivere tutto questo nel giorno in cui papa Francesco officia in San Pietro la messa per rifugiati, asilanti, migranti e tanti altri mi conferma che quel che quella frasetta “Bergoglio o barbarie”, non è una battuta, è la fotografia della realtà nella quale ci troviamo.