Nel suo intervento a proposito del post precedente, Giancarlo definisce il relativismo parente disgraziato del pluralismo. Perché disgraziato? Solo perché gli è toccata una vita di stenti, di accuse e di sberleffi? Il pluralismo appare nobile perché accetta, tollera, arriva a promettere di morire per chi la pensa diversamente, ma non mette in discussione l’esistenza di uno dei grandi miti, forse del più grande, della storia dell’uomo: accetta che la verità esista, che possa essere in qualche modo raggiunta e aggiunge che i modi possono essere molteplici, plurali appunto.
Il suo parente più radicale – il maltrattato relativismo – suggerisce che se i modi sono molteplici e il punto di arrivo si rivela sempre più lontano, sempre ancora da raggiungere, forse semplicemente non esiste e i modi diversi parlano di cose diverse e probabilmente cercano cose diverse. Se si studia quanto è stato scritto e pensato nel passato, non si può evitare di assumere un atteggiamento relativistico, altrimenti si rischia di considerare le altre epoche, gli altri contesti sociali e culturali solo come incerte tappe di avvicinamento alla realizzazione del nostro qui e ora, che rappresenterebbe il fine di tutto quanto lo ha preceduto. Lo si può anche credere ma ci vuole un bel coraggio!
Il Medioevo ha svolto spesso questo ruolo: una specie di zoo dove esseri viventi che, malgrado tutto, sembrano molto a noi, fanno, pensano e scrivono cose che a volte ci sembra impossibile accettare come significative. Se si legge un trattato di teologia o un commento ad Aristotele, bene o male si sente l’influenza del pensiero classico e si riconoscono temi che ricompaiono nel pensiero moderno e contemporaneo, ma se si leggono ad esempio le vite dei santi, come si fa a pensare che avessero sensibilità e motivazioni simili alle nostre!?
Certo, anche in questo caso, si può cercare la presenza di una tradizione, di un atteggiamento antropologico che si ricollega al passato (si veda il recente Mt. Fumagalli e G. Guidorizzi, Corpi gloriosi. Eroi greci e santi cristiani, Laterza 2012), ma è davvero difficile sentirsi simili a quegli uomini che trovavano un senso in cataloghi di virtù, di fatti mirabolanti, di segni celesti, spesso molto simili e ripetitivi. Come fare senza essere relativisti?
Ma anche il relativista aspira a trovare qualche analogia che gli consenta non di spegnere le differenze, ma di avvicinare gli atteggiamenti, di trovare qualcosa che chiarisca, che suggerisca. E le disordinate letture estive vengono in soccorso. In L’uomo con due barbe, padre Brown, il sacerdote protagonista dei racconti di Chesterton, sta dialogando con il prof Croke, famoso criminologo: il professore lo provoca chiedendogli se crede che la criminologia sia una scienza e padre Brown risponde proponendo un’altra domanda sul valore scientifico della agiografia, di quella letteratura appunto che si occupa di santi e martiri, e prosegue:
vede i secoli oscuri cercarono di creare una scienza sulla gente buona, ma il nostro tempo umano e illuminato s’interessa soltanto di una scienza sulla gente cattiva. Eppure io credo che la nostra esperienza generale ci confermi che ogni possibile tipo di uomo può essere un santo, e penso che anche lei ammetterà che ogni possibile tipo di uomo può essere un assassino.
So benissimo che questa frase non spiega nulla e che gli intenti di Chesterton sono quasi sicuramente del tutto diversi dai miei, ma mi fa sentire meglio: più relativista e più sereno.
MA ma ma, ci sono molti ma. Per una lettura del passato (e degli altri) che sia capace di capire le differenze e di non degradarle a tappe di avvicinamento… al nostro io, non occorre spingersi fin là. Se vuoi chiamarlo a tuo rischio “relativismo ben temperato” come fa Franco Cassano, bene. Ma qualche aggettivo deve circoscivere. E poi il concetto di “pluralismo culturale” (inventato da un pragmatista americano) e poco praticato in Europa, fa meglio al nostro scopo. Il relativismo assoluto sul piano epistemologico non è tenibile. Prospettivismo? niente realtà solo interpretazioni? d’accordo, ma non tutte le interpretazioni sono ugualmente buone, vero? Il relativismo morale invece è “un po’” inevitabile, questo sì. Allora la lettura in tema potrebbe essere proprio The Moral Relativism, di Steven Lukes. Il Medio Evo rimane una miniera per tutti. Un’altra lettura pluralista? Il De Principiis di Origene. Non ti pare?
Sono d’accordo. Ma il relativismo, secondo me, è proprio ciò che ti mette nelle condizioni di poter discutere, accettare, rifiutare, modificare gli aggettivi che lo crcoscrivono. E soprattutto non può mai essere assoluto, altrimenti non è. Alla domanda: ma tu sei relativista? non si può che rispondere, essendo relativisti: dipende!