Questo titolo è già comparso nel mio blog. Così, nudo e crudo. Una battuta? Piuttosto una provocazione o, se volete, un invito a riflettere.
Quello che sta accadendo è, infatti, quanto mai singolare. E tale da smentire tutte le tradizionali teorie politico-costituzionali, sul “regime change”. Queste ci dicono che il passaggio da un ordinamento ad un altro ( che si tratti di costituzione formale o materiale) avviene per la spinta vittoriosa di forze esterne, intente a distruggere il sistema esistente in nome di un progetto alternativo di cui sono portatrici. Così è stato nel 1943-45 e nei primi anni del dopoguerra, con il passaggio dal fascismo alla democrazia. Così nel 1958 francese, con il passaggio dalla IV alla V repubblica. Così, ancora in Italia, negli anni di Tangentopoli, con l’avvento della Seconda repubblica.
Per chiarirci la memoria e le idee, quanti spingevano allora alla contestazione del Vecchio e all’affermazione del Nuovo ebbero modo di enunciare molto chiaramente i loro propositi, all’epoca largamente condivisi dall’opinione: la sostituzione al e paralizzante sistema consociativo di un ordinamento di tipo bipolare; l’individuazione della società e, in particolare, dell’impresa come protagonisti di uno sviluppo sino ad allora ostacolato da condizionamenti politici di vario tipo; e, infine, il ridimensionamento del ruolo dei partiti come mediatori essenziali nel rapporto tra politica e cittadini.
Ora, possiamo dare per scontato- su questo c’è una sostanziale unanimità- che i risultati raggiunti siamo stati esattamente opposti a quelli previsti. A livello politico-istituzionale è peggiorata la qualità del governo e si sono moltiplicati a dismisura i partiti. In economia l’auspicato protagonismo dell’impresa si è risolto in una desertificazione del nostro apparato industriale. Nella società lo svuotamento del ruolo dei partiti non è stato affatto compensato da una maggiore legittimità ed efficienza delle istituzioni; a partire da quelle contenute nel disegno federalista Per tacere del fatto, al posto dell’auspicato avvento della repubblica della Virtù abbiamo invece assistito ad uno scadimento verticale della morale pubblica.
Così stando le cose, in un paese normale si sarebbe aperto un grande dibattito costituzionale, all’insegna della radicale revisione del sistema attuale e della sua assoluta urgenza. Invece, di tutto questo non c’è la minima traccia.
Perché?
In primo luogo perchè viviamo un clima di forti divisioni; un clima in cui è impensabile di poter costruire qualcosa insieme.
In secondo luogo, e soprattutto, perché, nel nostro caso, ci si divide tra zeloti dell’ordine nuovo e nostalgici dell’ordine vecchio. In chiaro:tra quanti pensano che la seconda repubblica abbia fallito perché non è andata sino in fondo nell’attuazione del suo progetto; e quanti ritengono, invece, che questo progetto fosse sbagliato sin dall’inizio. Una divisione, come si vede, tutta interna alla seconda repubblica. In cui i primi un progetto ce l’hanno ( bipolarismo forzoso; svuotamento “istituzionale”dei partiti; campo libero per le imprese; riconoscimento del ruolo della magistratura inquirente come garante della Virtù) ma senza avere la forza per realizzarlo. Mentre i secondi mancano di qualsiasi progetto: incapaci, come sono, sia di riproporre il necessario aggiornamento del Vecchio sistema sia di contemplarne uno nuovo; in parole povere incapaci sia di riproporre, in modo convincente la prima repubblica sia di anticipare i contenuti della terza.
Il risultato di questo stallo permanente non sarà la catastrofe, bensì la stagnazione e la decadenza. Il crollo nasce dalla spinta di forze esterne direttamente interessate alla distruzione del Vecchio sistema. Ma di queste non si vede traccia. La stagnazione e la decadenza sono davanti ai nostri occhi.