Il Manifesto del 26.09 riportava la seguente dichiarazione del Ministro dell’istruzione Francesco Profumo: «Il Paese è cambiato, siamo una società multiculturale e anche l’insegnamento della religione deve tener conto di questa nuova realtà». Posizione politica coraggiosa che non ha tardato a suscitare malumori e critiche da parte del mondo cattolico. Insomma il solito flop italiano: proposta interessante, ondata conservatrice (se non reazionaria) di commenti e conseguente ritrattazione. Placatasi la bufera mediatica e abbassatosi il polverone credo sia importante soffermarsi un momento a riflettere sull’accaduto. Approfondendo l’argomento sulle maggiori testate nazionali più di qualche affermazione mi ha lasciato estremamente … perplesso. È il caso della pagina politica del Corriere della sera del 26.09 in cui viene riferita la replica dell’onorevole Paola Binetti (Udc) al Ministro F. Profumo: «con la crisi oggi abbiamo più bisogno di religione, una religione insegnata meglio e testimoniata prima di tutto con l’esempio degli insegnanti». E avrebbe aggiunto: «Chi non vuole, può sempre restare fuori dall’aula». Ora sulle personali convinzioni dell’onorevole P. Binetti per risollevare l’Italia della crisi ci si può anche non esprimere, a ciascun il diritto di credere ciò che meglio ritiene, ma su quel «Chi non vuole, può sempre restare fuori dall’aula» due parole vanno spese.
In un breve memorandum firmato dalla redazione della Uaar si invita a non «dimenticare la corsia preferenziale dei docenti di religione, che vengono assunti senza concorso pubblico. È sufficiente il placet del vescovo, che può anche ritirarlo se constata che la vita del nominato non è in linea con il magistero cattolico. L’Irc diventa quindi un modo che i vescovi hanno per far assumere fedeli, facendoli pagare dallo Stato. Una condizione privilegiata, che permette anche di entrare in ruolo, ancor più discutibile in un periodo di tagli e ridimensionamenti nella scuola pubblica.» (vedi qui)
Ammettiamo ora di voler prendere distanza dal tono fortemente polemico dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, rimane tuttavia il concreto finanziamento statale (delle tasse dei cittadini) per l’insegnamento della religione. Quindi fino a prova contraria, dato che di Stato italiano si parla e non di Vaticano, magari sarebbe realmente auspicabile se le aule, nonostante l’esser facoltativa dell’ora di religione, rimanessero piene piuttosto che vuote.
Stavolta però la pietra dello scandalo non sembrerebbe essere tanto “l’ora di religione” in sé, quanto la necessità di rivedere eventualmente le regole del gioco in nome di una dichiarata ‘multiculturalità’ e conseguentemente di aprire spazi d’insegnamento anche a religioni che differiscano da quella cattolica. La proposta del ministro dell’istruzione non sarebbe difatti in linea con il contenuto dell’art.9 del concordato stipulato tra lo Stato italiano e la Santa Sede il 18 febbraio del 1985 (accordo firmato – teoricamente in sostituzione dei Patti lateranensi del 1929 – dal cardinale Agostino Casaroli e dall’allora presidente del consiglio Bettino Craxi). Precisamente a destar scalpore sembrerebbe essere la possibilità che a far parte del patrimonio storico del popolo italiano non siano più esclusivamente i princìpi del cattolicesimo.
Nei confronti di suddetta multiculturalità, quando l’Europa era stata appena da quattro anni ulteriormente unita sotto l’aureo segno dell’euro, prendevano poi posizione Marcello Pera e Joseph Ratzinger pubblicando quel volumetto recante il titolo Le radici cristiane d’Europa (2004) … Radici che invece, come ben ricorda Umberto Eco in un bell’articolo pubblicato sull’Espresso nel 2007 dovrebbero essere considerate anche tanto greco-romane e giudaiche, non fosse per quel piccolo dettaglio: « […] le radici cristiane hanno una lobby potentissima che le sostiene, mentre quelle greco-romane interessano solo qualche professore di liceo».
Chiaro dunque che il problema, affrontato teoricamente, non sia tanto “l’ora di religione” in sé, quanto la rinnovata pretesa vaticana di esercitare un ruolo monopolizzante all’interno della cultura italiana continuando, soprattutto, a godere di determinati privilegi; atteggiamento questo che si traduce in una netta chiusura nei confronti di una società culturalmente eterogenea che chiede spazi di discussione e confronto dei valori per evolversi in società culturalmente plurale.
Se infatti è storicamente impreciso affermare l’assoluta cristianità delle radici europee, è politicamente e socialmente errato pretendere di continuare a dichiarare valori quelli proposti dalla religione cristiana (e il discorso è estendibile chiaramente anche alle altre religioni) senza prima averli sottoposti al confronto con i nuovi valori introdotti nella sfera sociale tramite il contatto con altre culture. Il rischio è quello di istituire vuote forme di riferimento che sopravvivono esclusivamente in virtù dell’esser state un tempo riconosciute come tali. L’ora di etica o di storia delle religioni proposta dal ministro F. Profumo rappresenterebbe in quest’ottica l’importante apertura di uno spazio democratico in seno alla stessa struttura istituzionale italiana nel quale poter aprire un confronto e un dibattito tra i giovanissimi.
Nell’atteggiamento tenuto dal Vaticano e dai suoi sostenitori sembrerebbe quindi riflettersi, oltre l’intento di mantener integro il privilegio della religione cattolica, quella peculiare caratteristica individuata dal teologo svizzero Hans Küng nel suo Ist die Kirche noch zu retten?, ovvero la tendenza ad una storica inimicizia nei confronti della democrazia da parte della chiesa romana. Inimicizia che tanto in Italia, quanto in Francia, ha condotto al forte (se non razionalmente insanabile) contrasto tra cultura laica e cultura cattolica risoltosi poi in un’aspra contrapposizione tra valori civili e valori religiosi. Una chiusura quella della chiesa cattolica ufficiale che Küng definisce come l’inizio di quella marcia in un Ghetto culturale (op. cit. 132: «Der Marsch der offiziellen katholischen Kirche in ein kulturelles Ghetto hatte begonnen»). Le affermazioni del teologo svizzero tralasciano però due importanti aspetti che ad un cittadino italiano sono invece ben presenti: 1. La sempre rinnovata ingerenza delle politiche vaticane negli affari dello stato italiano 2. Il rischio che la reazionaria chiusura culturale imposta dalla Santa Sede nel ghetto trascini anche l’Italia.
Dopo la serie di cattolicissime obiezioni non ha tardato a giungere la smentita del ministro Profumo: «Non penso certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura». Non rimane quindi che chiudere con una domanda: «Quale il senso politico delle affermazioni sul multiculturalismo e la necessità di rivedere i programmi di religione?».
Lorenzo Ciavatta