Manifestazioni di piazza e intolleranza violenta (e programmata): se l’altro diventa nemico da annientare
Giovanni Cominelli·3 Dicembre 2024
Da un anno le piazze di alcune grandi città italiane si riempiono di manifestanti pro-Palestina. Spesso “a lato” o all’interno delle quali esplodono gesti di violenza. Gesti di rabbia spontanei? No, rabbia programmata.Sotto le sigle anarchiche o dei “Black Block” si agita una minoranza programmaticamente violenta.Le Università o i Licei o le Fiere del Libro sono occasionalmente coinvolti nella violenza di gruppi, che piantano tende dentro le università, appendono le fotografie a testa in giù della Meloni e del Ministro dell’Istruzione, irrompono nelle riunioni dei Senati accademici, impediscono la presentazione di libri o lo svolgimento di dibattiti su temi cruciali.
I casi più recenti sono stati l’interruzione, all’insegna di violenza fisica e di bestemmie, all’Università statale di Milano dell’incontro “Accogliere la vita – storia di libere scelte”, organizzato dalla lista “Obiettivo Studenti” o l’imbrattamento con slogan irridenti dei muri esterni del Liceo paritario don Gnocchi di Carate Brianza.Ambedue gli episodi di violenza erano rivolti contro il Movimento di Comunione e liberazione.
Dagli anni ’70 al 2024
Nonostante le apparenze e gli allarmismi, nulla di paragonabile a quel decennio degli anni ’70, che i giornali italiani battezzarono “anni di piombo”, traducendo liberamente il titolo del film del 1981 “Die bleierne Zeit” – Il tempo del piombo – di Margarethe von Trotta, dedicato a Gudrun Esslin, terrorista della Rote Armee Fraktion, e a sua sorella.Qualche centinaio di morti e un paio di migliaia di feriti furono il prodotto di una spietata guerra civile collaterale al sistema politico. Il terrorismo rosso e nero segnò un decennio di sangue.Ma poi arrivò negli anni ’80 “la Milano da bere”, l’Iskra leninista e la fiaccola di destra si spensero, salvo qualche scintilla che tragicamente schizzò fino al 2000, con l’assassinio di Massimo D’Antona e di Marco Biagi.
Sì, la dose di violenza è oggi, anno 2024, molto minore rispetto a quegli anni, ma non si può non constatare che il filo rosso-nero dell’intolleranza violenta non si è mai spezzato.È rimasta ostinata sul fondo dell’inconscio collettivo l’idea totalitaria che i nodi della convivenza civile si possono tagliare solo con la spada di Dio o con quella di Satana. L’altro deve essere annientato.E’ l’infinita guerra civile italiana, fatta di parole, di insulti, di delegittimazione reciproca. Ne abbiamo scritto spesso.Ogni generazione continua la guerra civile a proprio modo.
Le cause della violenza totalitaria
All’origine di tutta la faccenda sta “la verità”. Come spiegava Khorasan Jalal al-Din Rumi, un mistico sufi del XIII secolo, “la verità era uno specchio che cadendo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e, vedendola riflessa in esso, credette di possedere la verità intera”.Per un verso, non si può esistere un dialogo, se ciascuno dei dialoganti non parte da una “propria verità” intera, cioè da qualcosa che è certo, perché rispecchia la realtà. La fedeltà alla verità è ciò che dà consistenza al dialogo.Per l’altro verso, non si dà dialogo, se non riconosco l’altro come capace di verità. Nella caverna platonica ciascuno vede delle ombre diverse.È da questa dimensione della verità come “intero” e come “parte” che nasce la tentazione totalitaria, quella di imporre la mia parte come il tutto.Dentro questa struttura originaria della verità agisce una costante antropologica, che Platone ha descritto nel dialogo “La Repubblica”.Semplificando, l’anima è divisa in tre parti: il logos, il tymos, l’eros, cioè la ragione, l’ira, la concupiscenza. Per spiegare la relazione tra queste tre parti dell’anima umana, Platone utilizza il mito del carro alato, nel quale il logos è l’auriga, che guida due cavalli selvaggi: quello bianco – il tymos dell’ira – e quello nero – l’eros del desiderio.
Il logos cerca di mantenere il controllo e dirigere il carro verso l’alto, verso il mondo delle idee e della verità. Spesso questo tentativo fallisce: la ricerca della verità inciampa nelle passioni, negli interessi, nei pensieri desideranti degli esseri umani.
Del resto, ha fatto notare il filosofo tedesco Peter Sloterdijk che la prima parola della civiltà occidentale non è il “Logos che stava all’inizio”, di cui l’evangelista Giovanni scrive a cavallo del I secolo d. C., ma la “Μenis”, l’ira distruttiva di Achille, con cui Omero fa iniziare la prima grande opera letteraria dell’Occidente, l’Iliade, nel VI sec. a. C.
I rischi della transizione in atto
La tensione alla verità su di sé e sul mondo si sviluppa per le generazioni attuali viventi in un tempo di transizione. Un’epoca di transizione contiene molti residui di quella precedente e i sogni e i chiliasmi di un’epoca nuova.
Come ricordava F. Braudel, il fondatore degli Annales, spesso il nuovo avanza con i vestiti del vecchio, ma, aggiungiamo noi, a volte il vecchio si traveste con abiti nuovi. Così, si è dissolto il mito del comunismo come costruzione del paradiso terrestre, ma non è scomparsa l’idea di una futura Terra-Eden.
La crisi fatale del capitalismo, destinato a diventare vittima di sé stesso, è stata sostituita dalla “fatale” crisi climatica, alimentata pur sempre dai vecchi sistemi di oppressione strettamente collegati: il capitalismo, il colonialismo, il razzismo, il patriarcato.
In questi mesi Israele è divenuto, en passant, la sintesi di tutti questi mali. Di qui la saldatura della sinistra radicale con le piazze filo-palestinesi.
Greta Thunberg indossa ora anche la kefiah palestinese. Così persino la scienza è denunciata come segnata “dalla prassi patriarcale suprematista bianca”. Papa Francesco, per parte sua, ha dato inizio alla Teologia del Clima.
La crisi delle istituzioni liberal-democratiche
La combinazione di questi tre pezzi del puzzle – la verità, la costante antropologica, la transizione – non pare più contenibile nel quadro della vecchia democrazia liberale: quello dell’accettazione reciproca delle differenze di opinione e della politica come arte della mediazione tra opposti.
Minoranze agguerrite pensano che se abbiamo davanti grandi destini, nessuno ha il diritto di fermarci. Ci bastano un leader e un popolo “in rivolta sociale”, come sottolinea ultimamente Landini, il leader della CGIL.
E le istituzioni, in cui si depositano tradizioni, compromessi, mediazioni? Occorre toglierle di torno, by-passarle, svuotarle, abbatterle. Perché sono infiltrate di vecchi poteri ad ogni livello, a causa della natura macro/microfisica del potere.
Questo è il modello Trump e di qualche nostro sovranista casereccio. La strategia pare essere quella di eccitare il conflitto nella società civile per poi sedarlo con l’uso direttamente politico delle vecchie istituzioni e con la costruzione di istituzioni nuove svincolate da ogni garanzia dei diritti liberali. Gli avversari? Nemici da annientare.
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