LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

La medium è il messaggio. Note sull’ultimo Woody Allen

Emma Stone e Woody Allen sul set

Emma Stone e Woody Allen sul set

Delizioso l’ultimo Woody Allen, Magic in the Moonlight, che «resiste» nelle sale italiane pre-natalizie, dove finora ha incassato circa tre milioni di euro, oltre un terzo di quanto riuscì a guadagnare sul ben più vasto mercato Usa l’estate scorsa. L’autore ha da poco festeggiato il 79° compleanno (New York, 1 dicembre 1935), o forse no in virtù della proverbiale avversione alle cerimonie. L’anno prossimo l’attendono una serie di traguardi tondi, sebbene la torta con le ottanta candeline potrebbe essere amareggiata dalle reiterate accuse di Dylan Farrow, figlia adottiva di Woody e Mia Farrow  («Papà abusò di me quando avevo sette anni»), mentre la sorellastra Son-Yi Previn sposò Allen nel ’97. Nel 2015 ricorre il mezzo secolo di cinema dal suo esordio come sceneggiatore e attore di Ciao Pussycat. E scocca un decennio di film girati in Europa, al ritmo invidiabile di un set all’anno, fin da Match Point del 2005, con le eccezioni di Basta che funzioni e di Blue Jasmine.

Nel tempo, la «voce» di Allen ha stemperato i toni dell’eredità culturale yiddish, ovvero il tocco (auto)ironico, psicoanalitico e radical newyorchese di titoli quali Broadway Danny Rose, Zelig o Ombre e nebbia. A lungo egli ha incarnato una variante contemporanea dello schlemiel con la malinconica goffaggine che pure piace alle donne, ma anche dello shlimazel col suo destino da perdente nato. Caratteri letterari che, giusto specchiandosi nell’alveo europeo, non costituiscono più un «obbligo» rispetto alla tradizione dell’ebraismo, anzi, si sublimano e consentono ad Allen di librarsi nella commedia con leggerezza quasi chagalliana. Ovvio che non tutti i voli raggiungano le stesse altezze, donde l’altalena dei giudizi del pubblico e della critica sui singoli film, con i «mi piace» e i «non mi piace» perentori e un po’ immotivati che riserviamo ai «classici» e, invero, a tutto e a tutti nel tempo di Facebook.

Invece la sua filmografia senile, al pari di quella non meno feconda e affatto diversa di Clint Eastwood, andrebbe considerata un corpus. Allen propone variazioni sulla vecchiaia e le questioni ultime (o prime) che essa pone: il caso, il destino, l’amore, il credere o il non credere in un Altrove. Interrogativi congrui con la devozione che il regista nutre per il cinema radicale di Ingmar Bergman, ma pur sempre mitigati da una svagatezza balzachiana verso la commedia umana, dallo sguardo disincantato sull’intreccio circense della felicità e dell’infelicità nella vita quotidiana. Nel suo approccio, Allen «utilizza» – dirigendole da par suo – giovani dive e dà così corpo/corpi al più tipico esorcismo della morte. Contro l’angoscia, nei suoi film recenti, ecco di scena Scarlett Johansson, Penélope Cruz, Freida Pinto, Rachel McAdams, Naomi Watts, Marion Cotillard e, stavolta, Emma Stone.

Ma all’opera v’è anche lo scongiuro dei tempi bui, appena rischiarati dal lunario di Magic in the Moonlight, la cui trama si svolge alla fine degli anni Venti del Novecento, quando nella Germania ante-nazista di Weimar si intravedevano i fantasmi totalitari, del resto già all’opera nell’Italia mussoliniana. Il film s’inizia su un palcoscenico di Berlino dove, nei panni del prestigiatore cinese Wei Ling Soo, il britannico Stanley Crawford stupisce il pubblico (Colin Firth, al solito bravissimo), sebbene sia animato dietro le quinte da una inflessibile avversione per tutto ciò che appare «magico». Scettico, caustico e altero come solo un inglese delle classi agiate, Stanley viene pregato da un amico e collega di recarsi con lui in Costa Azzurra per smascherare una medium, la ventenne statunitense Sophie Baker (è Emma Stone, incantevole, fresca del successo di Birdman). Quest’ultima – gli viene detto – sta intortando una ricchissima vedova e il suo rampollo invaghitosi di lei fino a proporle le nozze.

Giunto nella Riviera francese sotto le mentite spoglie di un uomo d’affari, il supponente Stanley dovrà al dunque cambiare registro di fronte alle «autentiche» facoltà divinatorie di Sophie. La ragazza infatti mostra di sapere molto anche del suo passato e della relazione amorosa/noiosa che intrattiene con una «signorina perfettini». «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Ricorriamo all’Amleto perché un venticello scespiriano spira in Magic in the Moonlight e scompiglia ogni certezza, nel segno di una metafisica divertita e divertente. Complice la sapienza della vecchia zia Vanessa, vincerà Eros. Ne dubitavate? Una commedia dai dialoghi perfetti, con i costumi vintage di Sonia Grande e la fotografia «mediterranea» di Darius Khondji all’altezza del racconto. Come dire? La medium è il messaggio.

 

MAGIC IN THE MOONLIGHT di Woody Allen. Interpreti e personaggi principali: Colin   Firth (Stanley Crawford),  Emma  Stone  (Sophie Baker), Eileen  Atkins (Zia Vanessa),  Marcia Gay  Harden (signora Baker), Hamish  Linklater (Brice Catledge), Simon  McBurney (Howard Burkan). Commedia, USA, 2014. Durata: 97 minuti.

Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” 

 

 

 

 

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