La lettera di Stefano Ceccanti, Enrico Morando, Giorgio Tonini, esponenti dell’area riformista del PD, spedita a Elly Schlein, muove dalla rivendicazione della piena legittimità di posizioni diverse da quelle della maggioranza e della Segretaria, in nome del principio di contendibilità della leadership; difende l’aggettivo “democratico” con cui si qualifica il partito, proponendone semmai una sostantivizzazione, in alternativa al termine “socialista”; rimanda con fondata nostalgia alla sintesi delle culture riformiste che stava alla base del progetto originario del Partito democratico; si compiace della tenuta su posizioni filo-ucraine; mette in guardia dall’aventinismo in materia di riforme istituzionali; fa proposte per accrescere la produttività del lavoro, sia riformando il sistema di istruzione, sia aumentando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sia sviluppando elementi di democrazia economica.
In sintesi: occorre ricostruire un’agenda riformista, caduta dalle mani bucate di Schlein, restia a rivendicare la decennale storia governativa del PD. Che prospettive realistiche ha l’ammutinamento epistolare da gentiluomini dei tre di modificare l’indirizzo della maggioranza del PD e della sua segretaria? Al momento paiono scarse. Lo sanno per primi i firmatari.
“È molto probabile che non si tratterà di una battaglia breve, accompagnata da risultati immediati”. Ce n’est qu’un début! Che sia l’inizio di un più largo coagulo di molecole riformiste pare improbabile. Anche perché le molecole riformiste sono restie ad agglutinarsi, se dal PD muoviamo verso il Terzo polo in decomposizione. Il campo riformista appare piuttosto percorso dal moto browniano disordinato delle particelle. Intanto Giuliano Ferrara tesse, con cinico realismo togliattiano-andreottiano, un elogio sperticato del trasformismo e qualcun altro constata che i riformisti hanno le idee, ma non la forza.
Ma, forse, sono proprie le idee da saggiare.
Ora, l’impressione a pelle è questa: che tanto l’iniziativa della lettera quanto il suo contenuto non si sottraggano a una sensazione di déjà vu. Come un’antica litania che si ripete stancamente… Come il famoso sarto di Ulm, che tentò ripetutamente di volare – ma siamo nel 1592 – e che finì civiliter mortuus, cioè in miseria, anche il riformismo della sinistra italiana rischia un destino simile, quanto più si proclami, sia nella Sinistra, ma anche nella Destra, che questo è il tempo necessario delle riforme, cui il Pnrr ci “costringe”. Il riformismo è diventato la notte in cui tutte le vacche sono riformiste.
Che significa, oggi, essere di “riformisti di sinistra” o “democratici di sinistra”? Non vuole dire sempre la stessa cosa, in ogni tempo, a prescindere dalle circostanze.
Le categorie fondative non sono “casecavalle appise”, sono filtri per capire il mondo. Nei periodi di rottura e di transizione, il mondo fa saltare i filtri, fa saltare i ponti e le strade. Un’alluvione che modifica il paesaggio. Bisogna riscrivere le mappe.
Ora, sta accadendo qualcosa di nuovo.
Il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 da 44 Stati, comprendeva anche lo Statuto della Società o Lega delle Nazioni. L’ascesa della dittatura fascista e nazista – di cui una delle cause fu la reazione alla dittatura sovietica – fece saltare la Società delle Nazioni. La seconda Guerra mondiale ne fu la conseguenza. Dalla Seconda guerra mondiale uscirono dapprima la Carta Atlantica del 14 agosto 1941, sottoscritta da Roosevelt e da Churchill, e poi l’ONU, attiva dal 24 ottobre 1945.
Ora sta accadendo che anche il tempo dell’ONU stia scadendo. Cinesi e russi e grosse potenze regionali stanno progettando e costruendo un’architettura del mondo alternativa, nella quale tornano a contare il potere politico assoluto, il capitalismo politico, la sottomissione dell’individuo allo Stato, il controllo totale di una casta politico-militare, chiamata partito, dello Stato e della società civile.
Che questa progettazione possa portare sull’orlo di una guerra mondiale è realistico temerlo. Non tanto sul lato russo-ucraino, ma piuttosto su quello dell’Indo-pacifico, attorno alla Danzica del Terzo millennio, cioè a Taiwan.
La guerra promessa è il titolo allarmante del libro di Danilo Taino. Il principio “giuridico” (?) di organizzazione di questo nuovo mondo è il primato del più forte. All’inizio del terzo decennio del 2000 si ripropone, dunque, l’alternativa pace/guerra quale effetto del fatale antagonismo tra democrazie liberali e autocrazie illiberali.
Su questo crinale si ridefinisce l’identità e la collocazione di ogni nazione, dovunque si si trovi nel globo, e di ogni forza politica nazionale. Nessuno, né individuo né collettivo, né società né Stato, può sfuggire a questi dilemmi.
Chi pensa di trovare rifugio in sé stesso, dentro la fuga individuale e in un’autarchia sovrana, dimentica che nella globalizzazione del terzo millennio la neutralità, eccezionalmente possibile nel 1939-45, è oggi fattualmente impossibile.
La linea storico-politica del fronte di questi anni è la difesa politica e militare del modello europeo-occidentale delle libertà, del capitalismo democratico e di una globalizzazione, nella quale gli spiriti animali della finanza siano tenuti a freno da organismi istituzionali sovranazionali potenti, in primis dall’Unione europea, per la nostra parte del mondo, e dalla Nato, che si profila sempre più come lo scudo militare delle democrazie.
La linea del fronte è la difesa della democrazia, che è fondata sulle libertà e sui diritti dell’individuo-persona, sulle libere elezioni, sui meccanismi istituzionali check and balance, sul rispetto dei diritti delle minoranze. Le politiche demografiche, dell’immigrazione, dello sviluppo delle forze produttive, delle riforme istituzionali fino a quelle della forma-partito sono solo dei corollari di quella scelta e collocazione di fondo.
Come si può definire una forza politica che si doti di tale piattaforma? Riformista? Democratica? Lo è anche la Destra, almeno in Europa e in Italia. Si può definire solo liberale. Qui sta la differenza di fatto con la Destra italiana, che non è liberale e che con il suo nazionalismo e sovranismo ci sta portando disarmati sul campo di battaglia. Con una contraddizione evidente. Fratelli d’Italia è filo-atlantica e scettico-europeista.
Ai fini dell’identità/collocazione di ciò che convenzionalmente si autocertifica come “sinistra”, la cosiddetta “questione sociale” non costituisce più la linea di faglia con la destra. Pertanto, continuare a definirsi a partire dagli antagonismi del passato – lavoratori/datori di lavoro, capitalismo/anticapitalismo, massimalismo/riformismo, proletari/capitalisti – invece che rispetto alle sfide del presente, condanna la sinistra a porre mano all’aratro, ma a continuare a voltarsi all’indietro. Così i solchi non verranno mai diritti.
Quale nuovo sistema politico-istituzionale dobbiamo costruire per contribuire alla difesa delle libertà, della società aperta, alla costruzione di un nuovo ordine mondiale pacifico, dopo la fine di quello uscito dalla Seconda guerra mondiale? A un osservatore che osservi il dibattito istituzionale del nostro Paese, i partiti appaiono appare come sonnambuli che vagano di notte sui cornicioni. Perché un’impressione non si riesce a cancellare: che non si rendano conto che il Paese, di fronte alle poste in gioco di questo tempo, deve uscire dall’indecisionismo cronico.
Quest’articolo è stato pubblicato in origine su www.santalessandro.org il 24 maggio 2023.