Libri.
Il volume pubblicato da Laterza (con traduzione di Federica Giardini) dal titolo La scommessa del laico rappresenta una sorta di approfondimento teorico del Rapporto che Charles Taylor (nelle vesti di co-presidente), Joycelyn Maclure (in quelle di analista esperto) e Gérard Bouchard (co-autore) hanno pubblicato come esito del lavoro della ‘Commission de consultation sur le pratiques d’accomodement reliées aux differences culterelle’. Un lavoro, il Rapporto, con finalità pratiche rivolte a obiettivi sociali e politici, di cui il libro vuole esplicitare alcuni presupposti teorici.
Alle pagine de La scommessa del laico rimane molto della chiarezza richiesta ad un Rapporto. Il pregio maggiore del libro consiste probabilmente in questo: nella limpidezza e semplicità con cui presenta i termini entro cui si pone oggi la riflessione sulla laicità – gestione delle differenze religiose ma in generale del pluralismo culturale e delle opzioni morali di individui e comunità –, e con cui presenta un modello di laicità – liberal-pluralista – preferita a modelli antagonisti – quali la laicità repubblicana ideal-tipicamente espressa dalla laicité francese – per ragioni analizzate nel dettaglio. Tutte le principali questioni che attraversano solitamente i dibattiti intorno alla laicità (divisione pubblico-privato, visibilità dei simboli nello spazio pubblico, obbligazione giuridica verso la ricerca di accomodamenti ragionevoli, differenza tra obbligazioni religiose e secolari verso ‘impegni fondamentali’ e semplici preferenze soggettive, limiti alla libertà di coscienza), questioni pure estremamente complesse, vengono presentate al lettore con la chiarezza e semplicità che fanno di questo libro una specie di ‘manuale introduttivo’ buono anche per ‘newcomers ‘. Al tempo stesso, ça va sans dire, si tratta di pagine che anche per autonoma proposta teorica non smentiscono affatto l’autorevolezza dei loro autori. La laicità liberal-pluralista di Maclure e Taylor poggia su due principi di fondo: eguale rispetto e libertà di coscienza. I più familiari ‘neutralità dello Stato’ e ‘separazione tra Stato e Chiesa’, frequentemente concepiti anch’essi come principi cardine della laicità, vengono ‘derubricati’ a modi operativi della laicità, mezzi contingenti di cui non si può fare a meno ma che possono essere interpretati in modi più o meno permissivi o restrittivi a seconda dei contesti e delle contingenze. Le conseguenze di una simile impostazione non sono da poco: la laicità viene pensata come un sistema di governance delle differenze, che non ha nulla a che fare con la promozione di una società secolarizzata, e il cui obiettivo è ‘trovare l’equilibrio ottimale tra il rispetto della parità morale e quello della libertà di coscienza”. Ciò significa, tra l’altro, che una laicità liberal-pluralista “non si formalizzerà per la semplice presenza di elementi religiosi nello spazio pubblico e ammetterà la necessità di accomodamenti, che mirino a ristabilire l’equità o a permettere l’esercizio della libertà di religione, nella misura in cui non venga compromesso il principio di pari rispetto” (pp. 33-34). Prendendo a modello il caso del Québec, il libro si muove con eleganza tra principi teorici ed esemplificazioni legate a spazi sociali specifici (mense scolastiche, aule scolastiche, corsie d’ospedali, carceri, luoghi di lavoro etc.) in cui il bilanciamento di questi due principi richiede forme di accomodamento specifiche.
Trovo che il modello di laicità liberal-pluralista di Maclure e Taylor sia una delle proposte più convincenti tra quelle in circolazione. Esigente nel suo carattere pluralista ed egualitario, pragmatica e de-ideologizza nella sua idea di governance delle differenze. Con due limiti. Nonostante gli autori ‘lamentino’ che i rapporti tra persone religiose e persone non religiose siano spesso segnati da incomprensione e sfiducia reciproche, nei casi specifici in cui essi esemplificano il funzionamento del loro modello di laicità liberal-pluralista non sembrano spingersi oltre la ricerca di un sistema di governance che apra lo spazio pubblico alle differenze nel rispetto del principio dell’eguale rispetto, senza tuttavia cercare forme istituzionali che possano creare le condizioni perché un meccanismo di apprendimento complementare tra persone religiose e non religiose possa essere innescato. Esemplare di questa posizione, che non si spinge abbastanza in là nel ripensare i confini tra religioso e secolare, è il modo in cui gli autori considerano le differenze religiose all’interno dello spazio scolastico, in cui abbracciano la pur progressista posizione (in Italia anche più che progressista) di un insegnamento di ‘Etica e cultura religiosa’ che, mentre accoglie il fenomeno religioso nello spazio scolastico trattandolo come dato culturale, pure rinuncia a pensare una governance che, in un orizzonte pluralista, includa le religioni e gli attori religiosi anche in prima persona e in quanto religiosi, in un dialogo potenzialmente trasformativo e per l’istituzione e per gli attori, sia religiosi sia non religiosi. Il secondo limite, oltre insomma ad una certa timidezza nel pensare gli aspetti socio-istituzionali di un apprendimento complementare postsecolare, sta nei presupposti filosofici a cui è ancorato il modello di laicità liberal-pluralista proposto. Intensità e sincerità dell’esperienza religiosa individuale (à la William James, come è noto ai lettori di Taylor) vengono assunti come criteri in base ai quali, anche giuridicamente, valutare l’opportunità di accomodamenti ragionevoli; la religiosità individuale, la ‘protestantizzazione’ della fede come dicono gli stessi autori, è assunta a fondamento di una libertà religiosa concepita come capitolo della più generale libertà di coscienza. Va ascritto a merito degli autori se “la concezione soggettiva della libertà di religione e l’accento posto sulla sincerità della fede, anche se in una fase di personalizzazione della fede, non vanno necessariamente a svantaggio delle esperienze religiose più legate alle pratiche e ai rituali”, cioè proprio quelle che determinano la necessità di sistemi di governance delle religioni nello spazio pubblico. Non necessariamente, e in virtù della sensibilità degli autori, ma quei presupposti possono essere facilmente un ancoramento meno saldo di altri per una laicità pluralista, in ragione del loro carattere etnocentrico e difficilmente universalizzabile.