IL SOTTOSCRITTO

Gianni Bonina

Giornalista e scrittore. Vive a Modica. Ha pubblicato saggi di critica letteraria, romanzi, inchieste giornalistiche e reportage. È anche autore teatrale. Ha un blog all'indirizzo giannibonina.blogspot.com

La guerra obbligata di Putin

Se si ragiona in termini di equilibri mondiali e influenze di potere, nella logica vieta ma recidivante dei blocchi contrapposti, Mosca ha tutte le ragioni per combattere lo spirito di autodeterminazione che sta spingendo l’Ucraina nell’orbita della Nato e soprattutto dell’Occidente quanto alla sfera culturale. Immaginare l’Ucraina, la “piccola Russia” di Gogol’, un Paese che guarda ad ovest ripropone uno sconcerto ancora maggiore di quello per il quale sessant’anni fa Washington considerò Cuba un inaccettabile avamposto comunista. Senonché Cuba è molto più lontana e diversa dagli Usa di quanto l’Ucraina lo sia dalla sua storica madrepatria, ma la tendenza è verso un occidentalismo che piace soprattutto alle giovani generazioni, figlie di una nazione non più stregata dai miti dei soviet e nei secoli la più irrequieta della grande madre Russia.
Da un lato lo sgretolamento dell’Urss, che ha significato una progressiva perdita di autorità del Cremlino, da Putin sapientemente riguadagnata, e da un altro l’allentamento nell’Europa dell’Est degli interessi della Nato e in particolare degli Usa, che hanno visto nella smilitarizzazione e nel disarmo la via per dirottare energie e risorse contro l’insorgenza cinese, sono i fattori che hanno significato per la società ucraina, ma non solo per essa, un incentivo a recidere il cordone ombelicale con Mosca e fare una scelta europeista: la stessa di Paesi come Lettonia e Lituania che sono stati parte del blocco sovietico e oggi fungono da precedente storico e politico, avendo aderito all’Ue ed essendo membri della Nato.
Ma l’Ucraina per la Russia vale molto di più degli altri Paesi baltici. Più perché ex Stato sovietico, essa rappresenta un pezzo centrale e innato della Russia. Mosca la vede come Roma guarda l’Istria, redenta in parte con una guerra e per il resto ancora oggi rivendicata e sospirata. Putin ha annesso la Crimea ucraina e adottato i russi del Donbass fornendoli anche di passaporto e di armi in vista del passo più lungo, la riconquista dell’intero Paese, grande due volte l’Italia e strategico per la Nato che vanterebbe oltre duemila chilometri al confine russo dove dislocare basi e rampe. Una riconquista divenuta solo questione di tempo, resa necessaria anche da ragioni di coscienza nazionale russa alla quale lo strappo ucraino (dopo l’insediamento di un governo filoeuropeo e una politica antimoscovita culminata con il fermo delle stazioni televisive filorusse e l’arresto del magnate oligarca amico di Putin e grande diffusore dell’ideologia russa attraverso le sue televisioni) ha avuto effetti dolorosi, ma resa anche opportuna in questa fase dal mutamento di alcune circostanze: l’avvicinamento della Cina, che vede con favore uno scontro tra i due vecchi giganti nell’attesa di confrontarsi sullo scacchiere mondiale solo con uno, e l’uscita di scena di interlocutori, innanzitutto Trump (ma in quota minima anche Berlusconi), che avrebbero agito come deterrente essendo amici personali di Putin.
La politica promossa da Biden di contenimento della presenza Usa nel mondo, sortita nella recente caduta afgana, il temporeggiamento e l’esitazione di potenze come Francia e Germania, più intente a perseguire i propri interessi sovrani che quelli comunitari, l’isolamento dell’Inghilterra fuori dall’Europa, l’importanza del gas russo per il Vecchio continente, la debolezza della Nato in difficoltà di fronte a una crisi di lungo termine, e non ultima la pandemia che impone a chiunque prudenza e misure di salvaguardia sono tutti elementi che depongono per un conflitto da intraprendere ora o mai più. La colpa sarà però di un Occidente che ha additato la Cina come il nemico da temere senza accorgersi che intanto sulle ceneri dell’Urss rinasceva la stessa potenza caduta in rovina. Una potenza illiberale – e molto più autoritaria che quella cinese – il grande timore della quale è oggi di importare lo spirito di grande democrazia che si è affermato in Ucraina, cioè nelle appendici dello stesso territorio e di quella che lo stesso Putin ha definito “una sola nazione”. La libertà ucraina potrebbe fare breccia nella coscienza russa e rendere possibile un sogno mai nemmeno tentato. Assoggettando l’Ucraina Putin non intende seguire una politica di espansione ma salvare la Russia da un occidentalismo penetrato in una parte del suo corpo sociale e statale, forse il più caro.

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