La Curia di Napoli licenzia quattro lavoratori. Le lettere di licenziamento, datate 23 ottobre 2012, portano la firma di Monsignor Lucio Lemmo, braccio destro del Cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, legale rappresentante della struttura. Dall’allontanamento fino ad oggi, i lavoratori impegnati in mansioni di manutenzione e sorveglianza alla Basilica di Capodimonte hanno, invero, cercato una nuova collocazione all’interno di qualche altra struttura della sterminata proprietà della Curia di Napoli. Nulla da fare. “Siamo spiacenti di doverLe comunicare, stante l’impossibilità di adibirla a mansioni equivalenti e/o inferiori, il recesso del rapporto di lavoro con Lei intercorso per il seguente motivo di natura oggettiva, cessazione dell’attività esercitata dall’Associazione alla quale Ella è preposta”. Con queste scabre parole si mettono alla disperazione altre quattro famiglie napoletane.
Lungi dal sostenere che una Curia ed un Cardinale non possano, sotto la spinta della necessità, prendere provvedimenti di questo tipo. Eppure questa storia suscita dei pensieri inquietanti e di carattere generale.
In primo luogo colpisce la cattiveria che il provvedimento testimonia, proveniente da un ambiente e da persone che, per il ruolo che occupano nella società e per la loro funzione, dovrebbero caratterizzarsi in modo diverso. Se fosse una punizione per qualche colpa, il provvedimento sarebbe più comprensibile e giustificabile. Ma essendo stato motivato solo con le difficoltà finanziarie attraversate dall’ente religioso, il provvedimento appare solo come manifestazione di inutile ferocia. Non è credibile che una grande struttura economica come la Curia di Napoli non possa riciclare, in maniera produttiva, quattro operai che sanno il loro mestiere se è vero che è dal 1992 che sono in forza alla Curia stessa.
In secondo luogo colpisce che la Curia di Napoli si trovi in così cattive condizioni finanziarie da essere obbligata ad atti così estremi. Cosa è successo? Forse si è ecceduto in aiuti alle famiglie più bisognose? Forse che alla Basilica non si celebrano più matrimoni e i turisti che scendono e salgono da Capodimonte non si fermano più al piccolo San Pietro?
In terzo luogo colpisce che ritroviamo qui una manifestazione di quella che io, da tempo, chiamo la sindrome contabile, e che anche il prof. Caffè, negli anni ’70, chiamava in modo analogo. Provenendo da un lungo periodo di spensieratezza, oggi noi siamo improvvisamente diventati tutti supercontabili (compreso il Cardinale Sepe). Si tratta di una vera e propria malattia che blocca ogni capacità creativa, ogni coraggio, ogni visione, ogni umanità. Quello che conta è far quadrare i conti di oggi in modo computistico. E domani? Non frega niente a nessuno. Questa è una delle gravi conseguenze negative della finanziarizzazione dell’economia, anzi del pensiero. Così, piano piano ci rinsecchiamo, ci blocchiamo, ci impoveriamo nel cervello e nel cuore, ci incattiviamo, diventiamo tutti e solo aride carte vetrate. E così, passo dopo passo, diventeremo sempre più poveri ed anzi più miserabili. Ed i conti veri, non torneranno mai più, per cento anni.
Forte di una cinquantennale esperienza in materia mi candido presso il Cardinale Sepe per realizzare una ristrutturazione, in chiave di efficienza ed efficace, della Curia di Napoli, nella certezza che si otterranno ottimi risultati se la ristrutturazione verrà condotta con visione e umanità. E rispetto delle persone. Sono queste le uniche ristrutturazioni che funzionano.
Marco Vitale
Il cardinale Sepe farebbe bene a dimettersi e a ritirarsi in un convento dedicandosi alla cura della sua anima non proprio immacolata. La Chiesa di papa Francesco lo ringrazierebbe.