CHE CAOS
LA CINA
(NEL 1922)
ESCE IN ITALIANO IL LIBRO DEL REPORTER FRANCESE ALBERT LONDRES,
CHE ANTICIPÒ IL “NUOVO GIORNALISMO”. E UN SECOLO FA RACCONTÒ
UN PAESE SCONVOLTO. MA DA GUERRE, COLONIALISMI E SOMMOSSE
SIEGMUND GINZBERG
C’era anche in Cina l’epidemia. Ma pochi ci fecero caso. Rapporti sulle riviste mediche dell’epoca segnalano che nelle scuole di Pechino si erano ammalati quasi due studenti su tre. L’influenza stranamente colpiva non i vecchi ma i giovani. I primi casi si erano manifestati negli uffici postali, nelle scuole, nei manicomi e negli ospedali. In alcuni villaggi attorno alla capitale la mortalità superò il 10 per cento. Ma lì la Spagnola fu, in quegli stessi anni, assai più clemente che in Europa, in America, in India e nel resto del mondo. La ragione è ancora argomento di discussione tra gli specialisti. Perché già morivano come mosche per altre malattie, le carestie e la guerra?
Comunque non parla di epidemie Caos in Cina, il racconto dell’inviato del quotidiano francese Excelsior Albert Londres nella Cina del 1922, ora tradotto da ObarraO. Più che un reportage è un romanzo, anzi uno spettacolo pirotecnico, un pezzo di bravura, un capolavoro di giornalismo brillante in cui è incerto il confine tra notizia e fiction, tra informazione ed entertainment. In America negli anni ’70 l’avrebbero definito “Gonzo journalism”. Ma erano stati i “grandi reporter” della prima metà del secolo, i Barzini, gli Hemingway, i Londres (ma anche reporter donna come Andrée Viollis), a inventarlo.
La Cina di cui racconta Londres è quella dei Signori della guerra che si contendono il potere. “Ventuno province, ventuno tiranni… L’uno vende la sua parte di Cina l Giappone, l’altro agli Americani. Tutto è messo all’incanto: fiumi, ferrovie, miniere, templi, palazzi, navi. Per chiunque, il Paese è un bottino… Gabelle, tasse, imposte, tutte le risorse vanno ai generali…’Dovranno pure pagare i loro soldati questi generali’, direte voi…”. Non c’è empatia umana. Ostenta cinismo e indifferenza. Come quando, nel capitolo iniziale, dice che prima di andare in Cina, era stato sul Mar nero a “cercare di capire perché i turchi, che non valevano granché, scannavano periodicamente gli armeni, che non valevano molto di più”. Ma forse è solo finto cinismo. Londres è un giornalista impegnato. Scrive dai Bagni penali della Cajenna dei forzati, si finge pazzo Tra i pazzi di un manicomio parigino, va in Palestina a cercare L’ebreo errante proveniente dai Ghetti della vecchia Europa.
Si distingue dalla xenofobia paranoica del “Pericolo giallo” degli inizi secolo. In cambio sparge tutti gli stereotipi del suo tempo. Verso i cinesi ha una gran puzza sotto il naso. Letteralmente. “Camminavo rapidamente alla ricerca della città cinese…una folla innumerevole brulicava sotto le luci, come microbi sotto il microscopio… Dovevo essere arrivato al quartiere dei ristoranti. C’ero: infatti, sotto i miasmi, il mio delicato stomaco mi saliva alle labbra…”. E ancora: “Rientrerò a Parigi, afferrerò tutte le mollette da bucato che troverò. Ritornerò sullo Huangpu e mi piazzerò alla porta della città indigena. Prima di entraci, tutti compreranno il mio piccolo strumento per turarsi il naso. Tornerò miliardario”.
Siamo nel mezzo di uno dei momenti più confusi e terribili della storia cinese nel secolo scorso. Il Regno di mezzo è devastato dallo scontro tra la “cricca dello Zhili”, con base nello Hubei, che fa capo al maresciallo Wu Peifu, e la “cricca di Fengtian”, in Manciuria, che fa capo al maresciallo Zhang Zuolin. Sangue di reporter non mente. Corre in Manciuria per intervistare Zhang Zuolin. Riesce a incontrarlo (è irrilevante che sia vero, così come non è importante se Simenon, inviato dal suo giornale a Berlino nel 1933 incontrò davvero Hitler nell’ascensore del Kaiserhof). Londres ne fa un ritratto fenomenale. Il personaggio lo merita. Nel 1933 ispirerà a Frank Capra il film “Il tè amaro del generale Yen”. È misterioso, spregiudicato, perfido, ripugnante, ma anche fascinoso. Nel film Barbara Steinwick è sua prigioniera, ne è inorridita, ma finisce per innamorarsi di lui. Nel romanzo, pardon reportage, tiene prigioniera una russa bianca, che alloggia nello stesso albergo di London (e ne condivide il letto).
In quel momento il maresciallo Zhang Zuolin è al soldo dei giapponesi. Qualche anno dopo, nel 1928, furono però i servizi giapponesi a far saltare in aria il suo treno. Ma questo Londres non può ancora saperlo. Così come non può sapere che personaggio altrettanto da romanzo si rivelerà suo figlio e successore Zhang Xueliang. La Cina lo conosce come il “giovane maresciallo”. È bello, elegante, affascinante, amante delle auto da corsa, dell’oppio e delle belle donne. Si dice che abbia avuto una storia d’amore con Edda Ciano, incontrata ad una festa a Shanghai, dove lei viveva col marito console d’Italia. Oltre che della figlia di Mussolini Zhang Xueliang era anche un ammiratore del fascismo italiano. Ma sarebbe poi passato alla storia per l’”incidente di Xian”, quando nel 1936 arrestò a Xian Chiang Kai-shek, per costringerlo ad allearsi a Mao Tse-tung contro i giapponesi. Chiang, poi sconfitto da Mao, se lo sarebbe portato nella fuga a Taiwan, dove lo tenne prigioniero per altri 55 anni.
La storia cinese è complicata. Per giunta hanno – da millenni – l’abitudine di riscriverla a misura di chi si avvicenda al potere. E guai a chi pensa di avere capito tutto. Londres incalza di domande il “vecchio maresciallo”. Quello risponde lapidario: “La Cina è la Cina, il resto del mondo è il resto del mondo… Le fasi della Cina sono cinesi. Noi le tolleriamo perché sappiamo. Il resto del mondo invece solo crede di sapere…”
Fatto lo scoop, il grande inviato torna a Pechino e va a cena con un gruppo di giornalisti cinesi. Invece di chiedergli che cosa sta succedendo in Cina, è lui a parlare tutto il tempo per spiegarglielo: “Signori, la Cina in questo momento sconvolge tutte le solide idee che un cittadino consapevole può avere sulla necessità di un governo. Voi state scoprendo che i governi non sono indispensabili né alla vita né alla felicità dei popoli…”. Conosciamo il tipo: uno che è sicuro di aver già capito tutto. Oppure no: forse è solo un modo per cavarsela, affrontare quello che è impossibile confessare ai propri lettori: che chi scrive non riesce a raccapezzarsi. “Dal punto di vista politico (la Cina) è inestricabile…”, confessava in una lettera a familiari. Allora al grande reporter non resta che la soluzione più sicura: propinare ai lettori l’idea che si era fatta prima ancora di mettere piede in Cina. “Cercavo il Paese senza padrone, la città chimerica dell’anarchia totale. Dio mi ha esaudito. L’ho trovata. È Pechino!”. I fittizi interlocutori cinesi gli danno ragione. Anzi danno una lezione di saggezza – o se si vuole di cinismo – all’europeo che crede di essere al centro del mondo: “L’anarchia sta nel cervello degli uomini della tua specie…Voi in Europa pensate di detenere la verità. Poiché i vostri Paesi hanno un governo, in prima battuta credete che sia il governo a mandare avanti il Paese, e in seconda che ogni altro Paese, per funzionare, debba avere, come il vostro, un governo…”.
Londres è il maestro di tutti i “grandi reporter”, tutti i “grandi viaggiatori”. Che spesso sono anche grandi favolisti. Pieno di favole è il meraviglioso Milione di Marco Polo, che precede di 624 anni il Caos di Londres. Di appena 43 anni prima è le Tribolazioni di un cinese in Cina di un altro eccezionale narratore di favole, Jules Verne. Una dozzina di anni dopo sarà pubblicato il Loto Blu con le avventure di Tintin disegnate da Hervé. Una Cina favolosa, di pura invenzione, ci sarebbe stata raccontata, in anni assai più recenti, dagli intellettuali e giornalisti occidentali innamorati della Rivoluzione culturale di Mao. Ma senza il brio dei predecessori. Ricordate di quando, per sfornare best-seller bastavano poche settimane di quello che Enzensberger ha efficacemente definito “turismo politico”? Poi vennero gli innamorati delusi, offesi a morte per il fatto che la Cina non fosse quella che avevano sognato e romanzato.
Londres li ha battuti tutti. È riuscito a romanzare anche la propria morte. Nel 1932, dieci anni dopo il reportage da cui era nato Caos, era tornato a Shanghai. Poi era sparito nel cuore della Cina, nessuno sa di preciso dove. Infine era ricomparso per imbarcarsi in fretta e furia sul piroscafo Georges Philiphar. “Venite a prendermi a Marsiglia il 28 maggio”, aveva telegrafato alla moglie. Mentre navigano al largo della Somalia scoppia un incendio a bordo. Di Londres si perdono le tracce. Si era attardato per recuperare le due grosse borse con i suoi appunti? Si era buttato in mare per sfuggire alle fiamme? Era ciarliero, come molti grandi reporter. A tavola aveva raccontato ai compagni di navigazione, i Lang-Willar, una coppia già conosciuta in Argentina, di avere raccolto documentazione esplosiva, roba da far tremare le vene ai polsi, su intrighi in Cina da parte di giapponesi e bolscevichi. I giornali vanno pazzi per le teorie del complotto. L’Excelsior affitta un aereo per far rientrare al più presto a Parigi i coniugi depositari delle ultime confidenze. L’aereo si sfracella mentre sorvola l’Italia fascista… La realtà, come succede ormai spesso, batte la fiction…
24 aprile 2020 il venerdì di Repubblica