Il post precedente ha fatto nascere la discussione sui sistemi di valutazione, dietro la quale si profila spesso una specie di confronto culturale, presente anche tra le righe degli interventi suscitati, fra tradizione indigena (la definisco genericamente per non compromettermi) e tradizione dell’impero (anglosassone, americana, analitica … non saprei dire), fra l’abitudine a convivere con le contraddizioni provocate dalla storia (accompagnata naturalmente da formule magiche utili a dare l’impressione che comunque noi si sia sempre anime belle: ma questi sono metodi all’italiana!) e il tentativo di superare le contraddizioni sollevandosi al livello di regole o di algoritmi, nel caso della valutazione, capaci di conciliare gli opposti e superare i difetti. Schematizzo selvaggiamente, per farmi capire: un confronto culturale fra storia e verità.
Per farmi del male, butto lì un’altra generalizzazione selvaggia. Nel periodo della guerra fredda, del mondo diviso in due blocchi, l’idea di questa contrapposizione era parte inevitabile del nostro modo di guardare la realtà. Non intendo dire che i due blocchi rappresentassero per definizione le due polarità, ma le alimentavano: quando da una parte si invocava la storia, dall’altra si rispondeva con i valori; quando da una parte ci si appellava ai diritti, dall’altra si rispondeva con le contingenze storiche. Oggi le due polarità si incarnano in confronti interni a un unico – o preteso tale – contesto culturale e le cose si complicano, senza che dire questo significhi nostalgia per un mondo che troppi orrori ha prodotto per essere rimpianto.
Allora sono tornato al grafo della storia della filosofia e – da medievista – ho provato a ingrandire la zona circostante a Tommaso d’Aquino (sul confine sinistro del grafo). I nodi che costituiscono il cerchio più vicino a Tommaso sono (in senso orario): Henri Bourassa (da Wikipedia: 1868-1952; was a French Canadian political leader and publisher. He is seen by many as an ideological father of Canadian nationalism), Christian Wolff (1679–1754), Jean Bodin (1530–1596), Ludwig von Mises (1881-1973, ma in colore diverso), George Campbell (Presbyterian Minister, 1719-1796, ma in colore diverso); i nodi di maggiore dimensione e dello stesso colore nei dintorni sono: Nicholas of Cusa, Joseph de Maistre, Maimonides e Hugo Grotius. Più lontani sono Ockham, Alberto Magno e Duns Scoto il quale, visivamente, sembra entrare nell’orbita di Aristotele, nodo più esteso di quello di Platone. Guardando il grafo nel suo complesso, i nodi più estesi sembrano essere (in ordine decrescente): Hegel, Kant, Nietzsche, Aristotele, Marx, Platone.
Difficile trarre conclusioni precise, senza avere a disposizione i dati organizzati e senza studiare il modo in cui il grafo viene tracciato. Ma almeno una cosa si può dire. Sembra non venire attribuita alcuna importanza alla successione cronologica degli autori, la storia non pare essere un parametro usato in qualche modo. Certo, anche per quanto riguarda la verità (l’altra polarità di cui si parlava) c’è ancora molto da fare, ma la direzione sembra quella: la storia della filosofia come aspetto contingente della filosofia, le determinazioni storiche come semplici accidenti del pensiero puro. Come medievista sono contento che la filosofia medievale appaia disordinata e senza precise linee di sviluppo, perché penso sia un contributo alla liberazione da ogni tentativo di trovarvi una forma di philosophia perennis, che tuttavia mi spaventerebbe ancora di più se ricomparisse come insegnamento fondamentale del grafo nel suo complesso.
Non intendo affatto, sulla base di queste osservazioni, parlare male di Wikipedia che continuo a ritenere uno strumento straordinario, se si ha il necessario senso critico per saperla usare, come accade per altro con qualsiasi strumento di questo genere, né intendo cantare le lodi degli antichi abbecedari o dei seri libri di scuola di una volta, da cui una mia allieva di seconda media trasse la convinzione che i poveri abitanti dell’India magiavano quotidianamente “solo” 203 pugni di riso, avendo letto male “2 o 3”. Il senso critico serve per Wikipedia come per l’Enciclopedia Britannica e per l’elenco dei componenti alimentari sul banco del supermercato. Intendo solo dire che probabilmente, se vogliamo mantenere attiva anche l’altra polarità, dovremmo darci da fare, magari costruire strumenti all’altezza del grafo che abbiamo discusso.
Concludo, riprendendo la provocazione di Riccardo: ho dimenticato di parlare della valutazione?
da storico, non posso che piangere tutte le mie lacrime, anche se la cosa non mi sorprende affatto perché è da un bel po’ che, sub specie di critica allo “storicismo”, la storia è ridotta ad una specie di poltiglia indistinta (basti vedere la sottolineatura dei modelli sociologici in Germania e negli USA – “di nuovo”, verrebbe da dire, dopo le esplorazioni degli anni ’20 e ’30 del sec. XX: e speriamo che abbia ancora ragione la vulgata marxiana della dialettica tragedia-farsa); tanto meno mi sorprende per la filosofia, dato che l’atteggiamento generale e di base è quello di considerare le idee come entità che trascorrono per l’iperuranio e ogni tanto si incarnano in pensatori specifici – che evidentemente scelgono a loro piacimento (da storico direi che le idee non sono altro che i tentativi di risposta a problemi storicamente dati … ma capisco che qui posso risultare più impopolare di Charlie Brown nei suoi momenti peggiori, anche se sospetto che Massimo potrebbe avere un po’ di comprensione). Resta sempre la domanda di fondo: ma CHI ha preparato questa specie di nuova Alhambra della cultura filosofica? DOVE è stata messa a punto? sono riconoscibili le tendenze che la animano? Partendo per le vacanze lascerei questo compito agli specialisti, i filosofi, che per amore della conoscenza non si sottrarranno al loro compito di indagare, individuare, riflettere, interpretare, proporre… 🙂