Costa dirlo per chi pure aveva apprezzato la novità rappresentato dal nuovo segretario del PD, ma la proposta di legge elettorale annunciata ieri come non modificabile, è estremamente rischiosa.
Rischiosa per la credibilità del Parlamento, per il Paese e per quella che, una volta, si definiva – con un termine retorico – la sua “tenuta democratica”, perché essa è legata alla conservazione di quel poco di credibilità che rimane al Parlamento. RIschiosa anche per lo stesso Partito Democratico, perché questa legge rischia di essere – per motivi opposti – un regalo proprio ai due concorrenti – M5S e Forza Italia – con i quali Renzi si vuole giocare la possibilità di governare senza contrasti per cinque anni.
Fatto sta che appare assai discutibile partire dall’assunto di voler ridurre – a forza di premi di maggioranza e sbarramenti – l’offerta politica italiana a due poli – quando ne abbiamo tre di dimensioni uguali. O, addirittura, a due partiti – eliminando magari proprio quello che alle ultime elezioni ha avuto più voti e quando per i due che si vogliono far sopravvivere alle ultime due elezioni hanno votato meno di un terzo degli elettori.
Certamente non abbiamo ulteriore tempo da perdere con la legge elettorale ed, anzi, è certamente vero che essa doveva essere fatta dieci mesi fa, come atto preliminare alla nascita del Governo e ha fatto bene Renzi a “stanare” tutti. Tuttavia, un senso di responsabilità minima dice che non possiamo assolutamente permetterci il rischio che questo Parlamento – eletto con una legge ritenuta non costituzionale – faccia una legge ritenuta nuovamente non costituzionale dalla Corte, se non vogliamo mandare definitivamente in frantumi la legittimità delle istituzioni democratiche. E allora perché non ricorrere ad una legge che ha già funzionato per i primi dieci anni di questa cosiddetta seconda repubblica (si chiamava Mattarellum) senza che nessuno ne invocasse la illegittimità e che sembrava non dispiacere né al PD, né a Forza Italia e neppure al Movimento Cinque Stelle? Perché non prendere – verificate le compatibilità istituzionali minime – senza alcuna modifica la legge di un qualsiasi altro Paese europeo nel quale le leggi elettorali durano da decenni? Perché arrivare a concepire questo “italicum” per il quale il rischio di bocciatura da parte della Corte esiste, ma che presenta anche – per il PD – il rischio di una vittoria definitiva di Berlusconi? E, comunque, per chiunque governi il rischio di farlo contro la volontà o l’indifferenza di due terzi degli elettori?
L’errore più grosso è l’idea della legge elettorale come uno strumento per forzare esiti che non esistono nel Paese. La tentazione di voler – a tutti i costi – far vincere chi non riesce a vincere politicamente nel Paese. La convinzione che tutti i problemi si riducano a dare a qualcuno – a costo di sceglierlo a sorte – tutte le leve del potere. Non c’è nulla di nuovo in questo atteggiamento: è il riflesso condizionato di una società in grave difficoltà e che non sa più a quali santi votarsi; lontanissima dalla percezione del cambiamento come progetto che coinvolge tutti e del leader come soggetto che convince molti a mettersi in gioco.