Collezionista di record. Alcuni, francamente da non esibire come medaglie. Il primo ministro più longevo nella storia d’Israele. E fin qui, è una constatazione statistica che, comunque la si pensi su di lui, dà conto di una incontestabile capacità di manovra. Ma, e qui le cose si oscurano, è anche il primo Primo ministro nella storia dello Stato d’Israele a comparire, da premier in carica, in un’aula di tribunale in qualità di imputato. Sempre e comunque “King Bibi”, al secolo Benjamin Netanyahu. Fedele, anche troppo, all’assunto che la miglior difesa è l’attacco, “Bibi” ha usato la prima seduta nel Tribunale di Gerusalemme per sparare, dialetticamente parlando s’intende, ad alzo zero contro i suoi inquisitori.
“Le accuse contro di me sono state inquinate fin dal primo giorno”, sentenzia il premier. Accuse che Netanyahu – dopo aver attaccato la polizia, i giudici, in particolare il Procuratore Capo Avichai Mandelblit che l’ha incriminato formalmente, e i media – ha definito “ridicole”. “L’obiettivo è di abbattere un premier forte e di destra”, ha detto.
Netanyahu, insieme ad altre tre persone, è accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia per i regali illegali che avrebbe ricevuto da uomini d’affari in cambio di favori legislativi. La corte ha fissato la prossima udienza al 19 luglio, ma avrà solo carattere organizzativo: la presidentessa del collegio, giudice Rivka Friedman-Felman, dovrà fissare con gli avvocati della difesa e il pm un calendario del processo. Il 70enne premier è giunto in tribunale nel pomeriggio di ieri: ad attenderlo c’erano 250 manifestanti, divisi tra sostenitori e contestatori, e altri si erano fatti sentire vicino alla sua residenza.
“La polizia e il procuratore si sono alleati contro di me”, ha denunciato il leader del Likud parlando ai giornalisti, “l’obiettivo è quello di estromettere un primo ministro forte e bandire la leadership di destra per molti anni. Vorrebbero un cagnolino docile, ma io non lo sono e quindi devono togliermi di mezzo in ogni modo. Quelle contro di me sono state indagini corrotte e fabbricate ad hoc, sin dall’inizio”.
Netanyahu ha definito il processo “un colpo di Stato”, un tentativo di “sovvertire la volontà popolare”. “Voglio rassicurare tutti voi”, ha aggiunto prima di salire al terzo piano del palazzo di giustizia, “che con il vostro aiuto e con l’aiuto di Dio, continuerò a combattere. Non lascerò che ci abbattano. Continuerò a guidare lo Stato di Israele”. Un messaggio tutt’altro che conciliante.
Entrando nell’aula 317, Netanyahu ha nuovamente sollecitato la trasmissione in diretta del processo contro di lui, richiesta che però era stata già respinta dai giudici del tribunale distrettuale di Gerusalemme. Il premier si è presentato con i suoi legali e in aula erano presenti anche gli altri imputati: Arnon Mozes, editore del giornale Yedioth Ahronot, Shaul Elovitch, azionista di controllo della società di telecomunicazioni Bezeq, e la moglie di Elovitch, Iris Elovitch. I difensori del premier hanno chiesto un ulteriore slittamento per poter organizzare al meglio i testimoni e per avere più tempo per esaminare le migliaia di documenti processuali in maniera approfondita. Uno dei legali, Micha Feitman, ha parlato della necessità di avere a disposizione almeno due o tre mesi per studiare il tutto. Richieste che però non sono state ascoltate. “Non sto minimizzando l’importanza di questo caso – ha dichiarato il capo del team accusatorio Liat Ben Ari – ma ritengo che si possa procedere più speditamente di quanto chiedono gli imputati anche perché la gente ha il diritto di vedere che le cose vanno avanti e che questa situazione viene risolta in fretta”.
Il tribunale ha respinto la richiesta sottolineando che i documenti sono in possesso della difesa da oltre un anno. Nei giorni scorsi Netanyahu aveva anche spinto, tramite i suoi legali, affinché venisse accolta la sua richiesta di evitare di dover partecipare al primo giorno del processo, ma la Corte lo ha obbligato ad essere presente almeno alla prima udienza, mentre ha chiarito che non ci dovrà essere alle prossime. La Corte ha poi aggiornato il processo al 19 luglio, quando saranno delineati i tre filoni di accusa: quello della frode e abuso di ufficio per i doni ricevuti da importanti uomini d’affari, quello dell’inchiesta che coinvolge Arnon Mozes, proprietario del giornale free press Israel Hayom, su uno scambio tra leggi favorevoli e una copertura giornalistica benevola e il ruolo di Netanyahu come ministro delle Comunicazioni che avrebbe favorito l’azienda telefonica Bezeq, proprietaria del sito di notizie Walla.
Il premier a rotazione Benny Gantz, attualmente ministro della Difesa nell’ambito dell’accordo per il governo di unità nazionale tra Likud e Bianco e Blu, ha dichiarato che Netanyahu è innocente fino a prova contraria, proprio come tutti i cittadini, e si è detto “sicuro che il sistema giudiziario terrà un giusto processo per lui”. “Ribadisco – ha insistito Gantz – che io e i miei colleghi abbiamo piena fiducia nel sistema giudiziario e nell’applicazione della legge. In questo momento, forse più che mai, dobbiamo agire come stato e società per l’unità e la riconciliazione, per lo Stato di Israele e per tutti i cittadini israeliani”.
Del ruolo della legge e sulla dimostrazione che nessuno è superiore ad essa in Israele, si è detto convinto anche il procuratore generale Avichai Mandelbilt, l’uomo che ha imbastito il processo al premier. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha invece detto che “la selvaggia e veemente aggressione di Netanyahu contro il suo processo è la prova finale del perché un imputato criminale non può continuare a servire come primo ministro”. Lapid ha poi scritto su Twitter che “l’istigazione di Netanyahu e quella del suo popolo contro il sistema giudiziario è falsa, pericolosa, violenta e ha superato ogni limite”.
“Un primo ministro che dà del golpista al Procuratore generale, che aizza la folla come se fosse il più accanito oppositore e non l’uomo che ha la responsabilità di governare il Paese. Un atteggiamento che sicuramente piacerà al suo amico Orban – dice in esclusiva a Reset, il più autorevole storico israeliano: Zeev Sternhell. “Quello che più mi preoccupa – aggiunge il professor Sternhell – è che c’’è una parte, non minoritaria, dell’opinione pubblica che ha votato per Netanyahu pur sapendo dei gravi reati di cui era accusato e per i quali è stato rinviato a giudizio. Così come il premier inquisito non ha mai nascosto, anzi ne ha fatto un perno delle sue campagne elettorali, la sua idea, tutt’altro che democratica, di democrazia: chi prende più voti, è al di sopra della legge. Così si annienta lo stato di diritto!”.
In modo inquietante, Netanyahu e i suoi collaboratori stanno trasportando una parte crescente del pubblico in un mondo pericoloso fatto di delusioni paranoiche, oscure cospirazioni, Deep State e narrazioni cinicamente inventate sul complotto di una malvagia egemonia che vuole sottomettere il popolo “liquidando il leader prescelto”. Ma di questo complotto non è stata prodotta – o trovata – ancora una briciola di prova. Si è certamente aperto un processo-spettacolo, come sostengono i difensori del premier, ma al contrario. Lo spettacolo è tutto per “King Bibi”, è l’unico sulla scena e lui la sa calcare come una vera star.
Da oltre un anno su Netanyahu pende la spada di Damocle dei suoi guai giudiziari che hanno influenzato anche le tre campagne elettorali dell’ultimo anno e mezzo. L’opposizione chiedeva che il più longevo capo di governo della storia di Israele facesse un passo indietro e invece ha appena giurato per la quinta volta come premier. La Corte Suprema, peraltro, ha fatto sapere di “non aver trovato basi legali per impedirglielo”, pur sottolineando che questo “non diminuisce la gravità delle accuse”.
La prossima udienza è stata fissata per il 19 luglio, dunque 18 giorno dopo il fatidico 1° luglio, il giorno in cui, secondo quanto affermato da Netanyahu nel suo discorso da neo premier alla Knesset, prenderà avvio il piano di annessione della Valle del Giordano e di parti della Cisgiordania occupata. Di certo, c’è da scommettere, sarà sempre lui al centro della scena. Anche se una scena infuocata.