C’è qualcosa di inquietante nel clima culturale che caratterizza il nostro periodo storico, successivo a quello che si era presa l’abitudine di definire postmoderno. Qualche volta viene il dubbio che il superamento del postmoderno non possa che riportare in primo piano atteggiamenti apparentemente lontani, per quanto abbia senso parlare di qualcosa di definitivo nella storia dell’uomo.
Se in questi giorni i giornali annunciassero che finalmente sciiti e sunniti stanno andando verso un’intesa per superare le secolari contrapposizioni derivanti da motivi storici, da accentuazioni dottrinali, da modi diversi di considerare il rapporto tra interiorità e verità rivelate, chissà cosa verrebbe da pensare. Immaginiamo che al-Baghdadi e Rouhani abbiano programmato un incontro nella lontana Cina, scelta come terreno neutro in cui sviluppare il loro discorso e provare a percorrere un tratto di strada verso un accordo. In fondo potrebbe essere un modo per superare i conflitti sanguinosi che stanno segnando i nostri giorni, ma forse la cosa risulterebbe un poco inquietante.
Nella nostra piccola stanzetta dell’Europa occidentale abbiamo perso ogni riferimento unitario, abbiamo proseguito la decostruzione operata dal postmoderno spostandola sul terreno della politica e dell’economia. Tutto si sta sfaldando e riducendo all’economia, alla finanza, alla quantità, alla misura. La stessa filosofia occidentale risente degli estremi aneliti della misura e dell’analisi, sta tornando a discutere di verità e di formalismi nel contesto di una realtà sociale sempre più dominata dal discreto, in cui ogni aspetto tende a isolarsi dagli altri, dove si perde ogni esigenza di armonia, di continuo, di relazione tra mondo naturale e mondo spirituale.
Non si tratta certo di tornare alle visioni totalizzanti che hanno già dato pessima prova di sé nel secolo scorso, ma forse potrebbe essere opportuno approfondire il discorso sui fondamenti delle nostre concezioni del mondo, eventualmente anche per smascherarne l’assenza, ma almeno per parlarne, per costruire discussioni e confronti. Per evitare, nella misura del possibile, che il nostro piccolo salotto venga massacrato dalle nuove esigenze che vengono in luce nel vasto mondo, potrebbe essere utile indebolire l’egemonia della quantità e del discreto, prima di arrivare all’eclisse di quella ragione che, anche attraverso la dialettica e la problematizzazione, cerca qualche forma unitaria, senza confonderla né con la verità, né con una spiegazione metafisica. Soprattutto prima che la ricerca di armonia e unità venga totalmente delegata alle religioni che, una volta riunificate al loro interno, quasi sicuramente porterebbero a conseguenze di rigido confronto tra Verità contrapposte.
È difficile immaginare qualche scenario consolante, capire come si potrebbe evitare di cadere dalla padella nella brace, ma proprio la consapevolezza delle nostre difficoltà fa sentire qualcosa di inquietante nell’annuncio dell’incontro tra Papa Francesco e Kirill, patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca, previsto a Cuba per il 12 febbraio.
L'ASINO DI BURIDANO
È vero. Le visioni totalizzanti delle religioni stanno prendendo il posto delle ideologie” e stiamo ritornando a prima dei Lumi. Ma anche nelle discussioni in campo scientifico si avvertono
segnali preoccupanti: qualche anno fa ad un convegno ho sentito affermare da una qualificata keynote speaker che con l’avvento dei big data abbiamo lasciato alle spalle l’età della teoria. E per ritornare alla politica, ho letto recentemente un intervento di Reichlin che lamentava, nei dibattiti attuali, la scomparsa dell’analisi.
Gli indizi sono tanti e dunque qualche sospetto è più che legittimo…