DA MADRID

Marco Calamai

ingegnere, dirigente sindacale CGIL, funzionario Nazioni Unite. Giornalista, ha scritto libri e saggi sulla Spagna, America latina, Balcani, Medio Oriente. All'ONU si è occupato di democrazia locale, dialogo interculturale, problematiche sociali, questione indigena. Consigliere speciale alla CPA ( Autorità Provvisoria della Coalizione, in Iraq (Nassiriya) si è dimesso dall'incarico ( 2003 ) in aperta polemica con l'occupazione militare. Vive a Madrid dove scrive su origini e identità.

In Siria si allarga la guerra sciiti-sunniti
L’Europa senza proposta

Cosa propone l’Occidente per la pace in Siria? Più armi ai ribelli? Per ora sembra essere questa la strategia dominante. Anche se sono molte e autorevoli le voci contrarie. Gli Stati Uniti non intendono intervenire e restano assai cauti. Gli europei, presi dalla recessione che hanno contribuito ad alimentare con la politica dei tagli, sono divisi di fronte a questa catastrofe umanitaria e politica. E decidono di lasciare a ogni paese piena libertà di scelta. Chi vuole armare i ribelli, è libero di farlo. Proprio nel momento in cui la guerra civile siriana sta ormai coinvolgendo altri paesi della regione: il Libano, in primo luogo, ma anche l’Iraq.

L’Italia, dice Emma Bonino d’accordo con altri ministri degli Esteri europei, non deve inviare altre armi ai ribelli ma solo promuovere l’incontro tra le parti, fermare un’atroce guerra civile. Coinvolgendo anche l’Iran, paese decisivo negli equilibri regionali. Giusto, ma con quali proposte? Come contribuire utilmente alla prossima Conferenza di Pace (la Ginevra 2) promossa da Usa e Russia, se mai si farà?

Ciò che manca, in Europa, è un insieme di obiettivi concreti che aiutino ad avviare il dialogo tra le parti. Qualsiasi proposta credibile di tregua dovrebbe, infatti, proporsi di superare il principale conflitto che divampa nel mondo musulmano e in particolare nel Medio Oriente: lo scontro tra sunniti e sciiti, le due correnti storiche dell’Islam. Appare evidente che una stabile pacificazione tra sunniti e sciiti (di cui gli alawiti di Assad sono una costola antica) non si può ottenere con l’umiliazione degli uni o degli altri. Questa pacificazione una parte dell’Occidente, per ora, non la vuole. Perché? Perché sarebbe necessario negoziare con l’Iran, il “grande nemico”, e con gli Hezbollah, gli alleati sciiti libanesi di Teheran. E sarebbe necessario mettere sul tavolo della pace l’esigenza di un sistema che definisca poteri e diritti di tutte le minoranze. Com’è successo in Libano, l’unico paese dove, pur con i grandi limiti di una democrazia oligarchica basata sulla distribuzione del potere tra i clan, ogni comunità religiosa (ben diciotto nel caso del Libano) è comunque rappresentata nel governo e nello Stato. Un fragile equilibrio che la guerra civile in Siria sta facendo saltare.

In Medio Oriente è difficile immaginare democrazie di tipo occidentale. Ma sarebbe in ogni caso un grande passo in avanti lavorare per regimi che garantiscano ai diversi gruppi religiosi una rappresentanza nella gestione dello Stato. Un assetto siriano pluralista passa per il riconoscimento, in particolare, della minoranza alawita, fino ad oggi “garantita” di fronte alla maggioranza sunnita da una dittatura, espressione dei clan legati ad Assad, e ora dominata dal terrore di una violenta emarginazione. La minaccia della grande vendetta. Queste cose l’Occidente le conosce bene anche perché ha contribuito storicamente alla creazione degli Stati mediorientali mettendo insieme con la forza – come avvenne negli anni venti del Novecento in Iraq, Siria e Libano – gruppi etnici (arabi e curdi) e comunità religiose (sunniti e sciiti) che non volevano convivere sotto lo stesso Stato. Due furono i paesi che si divisero le spoglie dell’impero ottomano in Medio Oriente imponendo nuove frontiere: la Francia e la Gran Bretagna, Proprio i due paesi che ora, guarda caso, vorrebbero armare i ribelli contro Assad e i suoi alleati Hezbollah. Una strategia che piace ai produttori di armi francesi e inglesi ma che certo non contribuisce alla pacificazione tra sunniti e sciiti.

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