ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

In classe: disagi, bullismi, accoltellamenti e… accompagnamenti

Da tempo il sistema dell’educazione/istruzione si muove all’insegna del “dis”. La Treccani spiega: si tratta di un prefisso, che deriva dal Greco “δυσ”, che indica alterazione, malformazione, difettoso funzionamento, anomalia e simili. Nella scuola ne esiste una vasta fenomenologia, ordinata sotto varie sigle: Bes (Bisogni educativi speciali), Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia), Adhd (deficit di attenzione e iperattività), Daa (Disturbi aspecifici dell’apprendimento, dovuti a capacità cognitive ridotte e a patologie di tipo neurologico, organico, sensoriale) e così via.

Se in Lettera ad una professoressa don Lorenzo Milani sosteneva che la scuola “è un ospedale che cura i sani e respinge i malati”, pare diventata un ospedale pieno di malati, che non sa come curare.

La scuola di oggi – con il suo assetto istituzionale-amministrativo, i suoi curricula codificati, i suoi cicli e indirizzi, il suo personale dirigente e docente – è in grado di accompagnare il Pierino di città e il Gianni di campagna, secondo quel principio di personalizzazione, che don Milani enunciava così: “La scuola è per tutti, solo se è per ciascuno”? La risposta è no e poi no! Nonostante l’abnegazione di molti docenti.

Infatti, che significa la personalizing education, che il Rapporto Ocse propone già dal 2006? Quando il ragazzo arriva sulla soglia di un Istituto scolastico, qualcuno dovrebbe prenderlo in carico per verificare i talenti che ha nello zaino, le aspirazioni, le capacità reali, in primo luogo linguistiche, il background socio-economico. Questa funzione fondamentale dovrebbe essere svolta da un tutor, cioè da una figura che si incarica di accertare il livello cui si trova il ragazzo e di costruire con lui e con la sua famiglia il Piano di studi personalizzato (Psp).

Sì, il Psp esiste nei documenti ministeriali. Ma non c’è nessuno che lo possa confezionare. Con il Decreto ministeriale n. 63 del 5 aprile 2023 Giuseppe Valditara ha appena deciso l’introduzione della figura del tutor per le classi terze-quarte-quinte delle scuole secondarie di secondo grado. Poco, ma si incomincia! Solo che si vedrà ben presto che un tutor siffatto è… nudo!

Le reali possibilità del tutor nel sistema attuale

Infatti: dopo aver accertato che Pierino ha un possesso completo della Lingua italiana, ma, supponiamo, carenze serie in Matematica e che Gianni si trova nella condizione simmetrica opposta – poca Lingua e maggiori attitudini matematiche – il tutor si trova di fronte all’attuale organizzazione militare del sistema. Essa è vincolata dalla modalità di formazione delle classi per livelli di età, dal numero di ore per ogni disciplina e dalle conseguenti classi di concorso per il reclutamento dei docenti. I due ragazzi sono immessi in un sistema che prevede la stessa classe e le stesse ore disciplinari, quali che siano i loro differenti bisogni di partenza.

A Pierino verrà inflitto Italiano oltre i suoi bisogni, ma non gli basteranno le ore di Matematica. A Gianni non basteranno le ore di Italiano, ma si annoierà durante le ore di Matematica. A questo punto, direbbe sempre don Milani, “nulla che sia più ingiusto che fare parti eguali tra diseguali”.

Che cosa può fare il tutor, a questo punto, se Pierino si annoia mortalmente durante le ore di Italiano e brancola in Matematica? E, analogamente, Gianni? Non può fare nulla, se non raccomandare ripetizioni extra orario. Il Psp diventa impraticabile, nonostante la buona volontà dei ragazzi e dei docenti coinvolti. La marcia del tutor è già bloccata.

Si può organizzare la didattica in modo diverso?

Si può organizzare la didattica e la vita scolastica in modo diverso, corrispondente alle esigenze dei Psp di ciascuno? Si può, invertendo il flusso organizzativo didattico. Invece di mandare gli insegnanti in classi già precostituite, occorre mandare i ragazzi a cattedre pre-costituite, dove i docenti tengono corsi di Letteratura, di Scrittura, di Storia, di Matematica e così via. Ciascun ragazzo si reca ad attingervi secondo quantità disciplinari previste nel suo Psp, definito con il tutor, con i docenti e con la famiglia. Sulla base delle informazioni e delle verifiche fatte con i docenti di cattedra, il tutor è in grado di ricalibrare e modulare il Psp.

In questa nuova organizzazione, nessun ragazzo è mai solo nel suo cammino, c’è sempre la figura adulta e competente al suo fianco. Non c’è bisogno di psicologi, salvo che per rari casi patologici. Un tutor così concepito è anche in grado di orientare i ragazzi verso le scelte post-scolastiche, sempre che sia abbastanza informato su come va il mondo reale, “là fuori”.

Si tratta di capovolgere il modello napoleonico-prussiano-gentiliano di sistema di istruzione/educazione, che aveva finalità diverse dall’accompagnamento personalizzato. Voleva formare “cittadini di Stato” e “soldati di Stato”, spinte o sponte. Occorre, in primo luogo, cambiare l’assetto istituzionale e la governance: l’autonomia scolastica era stata pensata nella prospettiva di una governance flessibile, in grado di rispondere alle domande di personalizzazione. È stata riassorbita da una cultura politica e amministrativa incrollabilmente ottocentesca.

Occorre formare e reclutare nuove figure di docenti, diversificate per ruoli, per carriera e per retribuzione. Il sindacato è contrario e le forze politiche, se sono di sinistra, ne condividono le posizioni; se sono di destra, ne hanno paura. È necessaria una nuova struttura fisica degli Istituti, che sono stati progettati per la suddivisione in classi, come i conventi, le caserme, le carceri, gli ospedali.

Dire a ogni ragazzo qual è il suo livello di preparazione

Il passaggio essenziale e finale della personalizzazione è costituito dalla capacità della scuola di dire al ragazzo “la sua verità”: a quale livello di acquisizione dei saperi e di maturazione umana sei arrivato? Non a 19 anni, ma a 17-18 anni. Il che significa ridurre a quattro anni i tempi di permanenza nella scuola secondaria di secondo grado.
Può servire un esame di stato, poi scivolato verso l’attuale esame di maturità, sempre più ridotto ad amabile conversazione con il candidato sulle sue prospettive future? No! Meglio abolire un tale inutile rito. Basta una severa e rigorosa certificazione finale, che non ha lo scopo né di promuovere né quello di bocciare.

Non ha il fine di garantire la possibilità/capacità di accedere ai concorsi pubblici, come pretende il mito del valore legale del titolo di studio. Deve solo dire ai ragazzi, sulla base di criteri pubblici, universalmente riconosciuti e condivisi, quale livello di saperi, competenze e maturità umana hanno raggiunto. Li deve mettere di fronte allo specchio delle proprie responsabilità e libertà.

Lacrime di coccodrillo su disagio e solitudine

No, non si vuole nessun cambiamento. In compenso, traboccano dalla politica e dai mass media fiumi di lacrime di coccodrillo sul disagio giovanile e sulla solitudine dei ragazzi e sull’inclusione. E chiudono gli occhi sul fatto che passare giorni, mesi e anni in classe, in compagnia effettiva solo dei propri pari, senza una direzione sensata di marcia, tra la noia e il disinteresse, genera nei ragazzi disagio e persino patologie. Che non vengono tutte dalla società, ma dall’interno della scuola, dall’organizzazione della vita scolastica.

Perciò: o si cambia governance, cicli, indirizzi, tempi di scolarizzazione oppure avanti con la noia, la depressione, il bullismo e, una volta tanto, con qualche accoltellamento. Avanti con la medicalizzazione dell’educazione e con inutili psicologi trionfanti, al seguito.

 

Quest’articolo è stato pubblicato in origine su www.santalessandro.org il 21 giugno 2023. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *