Nel lungo saggio Significato e comprensione nella storia delle idee che apre il volume di Quentin Skinner Dell’interpretazione, Collingwood è citato a più riprese e sempre presupposto. Ad un certo punto l’autore riporta e commenta un passo di An Autobiography permettendoci di far fare un passo avanti ulteriore alla nostra riflessione sulla “logica della domanda e risposta”. Si tratta dell’esempio concernente il modo di interpretare correttamente un testo come le Meditazioni cartesiane. Come è noto, il problema di Cartesio, osserva Skinner, era “giustificare la certezza della conoscenza indubitabile”. In effetti, “gli storici di impostazione tradizionale ritengono che, essendo Cartesio un epistemologo e il problema della certezza uno dei principali dell’epistemologia”, sia sufficiente “esaminare criticamente le affermazioni di Cartesio su come sia possibile conoscere qualcosa con certezza”. Il fatto è però che in questo modo si “lascia intatta” una questione più importante: “perché Cartesio potesse considerare una soluzione la sua dottrina della certezza”. Ne consegue che questo approccio “non ci spiega che cosa egli stesse facendo presentando la sua dottrina nella forma precisa in cui ha scelto di presentarla”. E così Skinner conclude: “Credo che una delle maggiori acquisizioni più recenti della storiografia sia stata quella di stabilire che con tale dottrina Cartesio volesse, fra le altre cose, replicare al pirronismo, e che ciò aiuti a spiegare tanto le caratteristiche della sua argomentazione antiscettica, quanto la natura delle sue strategie argomentative” (p.48-49). Ciò che qui si vuol dire è che chiedersi a quale domanda storica, contingente e situata, risponda un’affermazione contenuta in un testo classico significa spesso verificare “contro chi” e per quali ragioni essa fu pronunciata. Il momento negativo, critico, polemico, è quello che mette in moto la dialettica anche delle idee, giustificando e dando ragione di formulazioni che non possono essere spiegate con il platonismo delle idee di ogni filosofia metafisica. Il punto, afferma Skinner a conclusione del suo saggio, è “che -per riprendere il modo di porre la questione di R.G. Collingwood- in filosofia non esistono questioni eterne” (p.55). E quindi, potremmo aggiungere con il Croce di Teoria e storia della storiografia, non esiste nemmeno la figura del Filosofo Puro come persona ad esse dedito e in grado, quasi “Buddha o risvegliato”, di indicare al volgo la Vera e Definitiva Soluzione. In Dell’interpretazione vengono poi affrontate anche altre questioni che toccano da vicino il rapporto fra Skinner e Collingwood e di cui pure sarebbe opportuno parlare: dal “contrasto tra comprensione delle motivazioni dell’azione e spiegazione causale degli eventi” (p. 61), al problema della contrapposizione nella filosofia della storia fra tradizione idealistica e positivistica (p.63), all’altro infine dei rapporti fra la logica della domanda e risposta e la teoria degli atti comunicativi di Austin (p. 139). Ma per ora, a proposito del contestualismo (come è chiamato) skinneriano, basti quanto detto.
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