Non so se capita a tutti, se è un fenomeno documentato dagli studi di psicologia, ma non riesco a sincronizzare i vari fili della memoria. Ci sono ricordi della storia d’Italia, altri della vita familiare, altri degli studi e poi del lavoro, ma riesco solo parzialmente a metterli in parallelo sulla stessa linea del tempo; non riesco a ricordare dove fosse mio padre quando Tito Stagno e Ruggero Orlando ci tenevano svegli raccontando lo sbarco dell’uomo sulla luna; ricordo una passeggiata di prima mattina, mentre rivedevo nella mente la partita Italia-Germania 4 a 3 della sera precedente, ma non riesco a ricordare dove stessi andando, se al lavoro, in biblioteca, dalla ragazza, a una riunione politica. Mah!?
Per questo è stato terribilmente faticoso vedere la fiction rai su Calabresi e la strage di piazza Fontana, andata in onda un mese fa. Mio padre era in un letto di ospedale e passavo gran parte del tempo a Genova accanto a lui, lontano da Milano, e ricordo che una notte, tornando a casa, guardavo il mare appoggiato a un muretto in corso Italia e mi chiedevo che cosa stesse succedendo; mi pareva di capire davvero troppo poco. Ma non ricordo chi vedessi e con chi parlassi nei pochi ritagli di tempo in cui riuscivo ad andare all’università o a tornare nella casa in cui normalmente abitavo. Non riesco a ricordare quali fossero gli amici con cui si commentavano i fatti, quali i professori, i negozianti, i compagni di viaggio.
Poi leggemmo La strage di Stato, l’anonimo libretto che smontava le versioni ufficiali dei fatti e che forse ebbe un ruolo essenziale nel bloccare i tentativi di usare la strage per progetti politici antidemocratici. Insieme a molti coetanei credemmo a quelle parole, ma fu appunto essenzialmente fede e solo dopo anni fu possibile comprendere quanto quella fede fosse razionalmente fondata. Sono passati 45 anni e, se non sbaglio, non è ancora stata emessa una condanna definitiva sulla carneficina della Banca dell’Agricoltura.
Calabresi, nella fiction, è colto, simpatico, religioso, democratico, amico di Pinelli, e Pannella ha raccontato molte volte – come per altro fa sempre con gli episodi della sua vita – di aver partecipato a una manifestazione insieme ad entrambi. Sicuramente era così e purtroppo nella vita succede di avere ruoli e svolgere funzioni che non dipendono più di tanto dalla cultura o dalla simpatia di cui si può essere portatori.
Le polemiche suscitate dalla fiction sanno di polveroso, di vecchio; ripropongono tesi e sospetti di cui abbiamo vissuto per anni, che sarebbe bello poter giudicare ormai del tutto superati, se avessimo uno straccio di verità da contrapporre. Molta acqua è passata sotto i ponti, anche se delle stragi – e non solo di quella di piazza Fontana – non abbiamo ancora capito nulla. Guardando la fiction si è fatto più profondo il sospetto di avere detto un sacco di cose – a volte giuste, a volte drammaticamente sbagliate – ma di averne pensate ben poche in modo personale, di avere più che altro ripetuto, di essere fortunosamente sopravvissuto come il famoso vaso di coccio.
Il mondo, anche il nostro, è cambiato, e la rai ce lo rappresenta in modo mirabile. Elena Sofia Ricci è una suora fantastica in Che Dio ci aiuti, Virna Lisi diviene suor Germana, Nino Frassica per l’ennesima volta è il maresciallo Cecchini e Terence Hill, dopo aver trascorso anni a massacrare di botte amici e nemici, si è trasformato in don Matteo, per salvare corpi e anime, senza dimenticare il grande Gigi Proietti e il suo maresciallo Rocca.
Non so di preciso che cosa sia successo, ma mi tornano alla mente alcune parole del mio Agostino che forse riassumono in modo mirabile ogni prospettiva di ispirazione platonica, ma possono facilmente adattarsi anche alla storia, alle ideologie, alla politica, alla stessa vita individuale. Parlando del rapporto tra progetto e sua realizzazione, e giocando sull’analogia con l’artigiano che costruisce una casa, osserva: et si domus ruat, ars manet – anche se la casa crolla, il progetto rimane in piedi – (In evangelium Ioannis tractatus centum viginti quatuor 37.8).
L'ASINO DI BURIDANO