Fatti.
È vero, come scriveva Alessandro Lanni non molto tempo fa nel suo Avanti popoli! (3 dicembre 2012), che il Pd dovrebbe farsi partito ‘inclusivo’, capace di dare ascolto a quel che si muove nella cosiddetta società civile, capace di intercettare gli umori anti-casta e di riconvertirli ad un orizzonte non populista. Si trattava di considerazioni, che condivido, avanzate in relazione al M5S di Grillo, verso il quale è migrata anche la disaffezione di una parte del popolo di sinistra. E tuttavia – sono certo che Alessandro sarà d’accordo – inclusivo non significa affatto disponibile alla cancellazione di ogni distinzione, all’indifferenza verso ogni linea di separazione. Il populismo si nutre di questo, al fondo credo sia questo: rinuncia alla faticosa arte della differenziazione, cinico e sbrigativo consegnarsi all’idea che ‘nulla fa differenza’, che tutto ‘è uguale’, a partire dalle obsolete categorie di destra e sinistra. Inclusivo non significa insomma ‘ecumenico’, almeno nell’accezione usata da Grillo nel suo confronto con gli esponenti di Casa Pound.
Quanto avvenuto venerdì sera tra Grillo e i fascisti del terzo millennio dice però qualcosa di significativo. Dice che il populismo comincia dall’oblio, dal disimpegno nei confronti della memoria. Smontare la memoria, derogare alla fatica della distinzione sul terreno della memoria, è una precondizione per poter poi affogare nella notte in cui tutte le vacche sono nere ogni altra differenza. La conversazione tra Grillo e i suoi interlocutori comincia dalla memoria: “quelli di Casa Pound vogliono sapere se sei antifascista”. La domanda, ovviamente, discrimina, come discrimina ogni identità, nel bene e nel male, che piaccia o non piaccia. Il populismo invece se ne lava le mani, destituisce di significatività i confini, e infatti la risposta di Grillo – raggelante, come giustamente la definisce Andrea Fabozzi su il manifesto, è “questo è un problema che non mi compete, è come dire se sei razzista o antirazzista, sono domande che non hanno risposta”. La rinuncia – secondo molti commentatori strumentale alla riconquista di una fetta di voti che starebbe sfuggendo a Grillo dalle mani – all’arte della memoria (che è arte della distinzione: non vendicativa, compassionevole, ma non indifferente) nei confronti del fascismo spiana la strada allo sdoganamento dei membri di Casa Pound, alla loro inclusione nell’alveo del M5S. Non credo sia un fatto solo strumentale. Il populismo non sopporta per definizione le distinzioni, e non solo le sfumature, ma neanche i confini spessi. Il ‘noi’ contro ‘loro’ (la casta, il Palazzo etc.) che il populismo urla regge in realtà solo se i quadri sociali della memoria (i gruppi, le classi) vengono ‘silenziati’, per richiamare un’altra raggelante espressione che abbiamo dovuto ascoltare di recente e che di populismo, sebbene colto, riecheggia anch’essa. “Dividerci tra fascisti e antifascisti”, dice ancora Grillo, “è un gioco”. Infatti, al di là di quel che strilla, il populismo non sopporta le divisioni, tanto meno quelle ‘spesse’, che hanno alle loro spalle memorie.
Ma il problema della memoria antifascista non è Grillo, che anche in questo caso è un sintomo. Il problema è che si tratta di una memoria non agita, mentre la memoria ha una dimensione performativa per definizione. La memoria è una cosa che si fa, si pratica, insieme ad altri, nel quadro di gruppi, mediante attività condivise. Quella antifascista non è una memoria agita nelle scuole, non è una memoria agita nelle piazze; è una memoria che si deve quasi vergognare della sua ritualità, dei suoi gesti, dei suoi simboli, e che invece in quei gesti, in quei simboli, in quella ritualità, potrebbe conservare una dimensione critica, cioè capace, ancora una volta, di discriminare, tracciare linee di distinzione, costruire identità. Io credo si debba dire a Grillo che invece a noi il problema dell’essere fascisti o antifascisti ci compete, ci interessa, e non siamo indifferenti. Sappiamo a chi richiamarci, quando si parla di indifferenti; dividerci tra fascisti e antifascisti non è un gioco. La domanda se si è razzisti o antirazzisti per noi una risposta ce l’ha, non è una di quelle domande che possa rimanere senza una presa di posizione ferma. La memoria non è vendicativa, la memoria non è odio, ma resistenza certamente sì. Kundera scriveva che “la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta dell’uomo contro l’oblio”. Il populismo, evidentemente, non è interessato alla lotta contro il potere.
Condivido pienamente l’analisi fatta dal Prof. Massimo Rosati, lucida ed essenziale, breve ma completa, l’argomentazione esposta, segnala lucidamente i rischi che la “tirranide populista” porta con se.
L’indiferrenzazione, cuore centrale del messaggio, omologa e confluisce l’energia della rivolta popolare,verso un “nemico”, descritto come una “Cosa informe”, da annientare con una ferocia verbale senza precedenti. Il vizio antico dell’Uomo;l’oblio della Storia, ritorna prepopotentemente alla luce, l’odio condiviso ci prospetta un futuro Orwelliano.