LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

Il passato che non passa nel giorno di San Vittore

Il passato non è una terra straniera, anzi. In Italia il passato è un amico di famiglia che dopo cena non accenna ad andarsene nonostante l’ora tarda e i bambini, di là, che debbono svegliarsi presto all’indomani. Il passato è l’ospite ingrato, ché dopo vent’anni comincia a puzzare (di morte). Il passato che non passa ha sequestrato e tiene in ostaggio il presente e, diremmo, un pezzo di futuro; non senza una qualche complicità delle vittime. Ma come è possibile? Ieri, 8 maggio 2014, festa di San Nicola a Bari e di San Cataldo a Taranto, e, fra l’altro, ricorrenza di San Vittore (le coincidenze, certe volte), sono fioccati gli arresti dei politici.

I provvedimenti cautelari  hanno «raggiunto» (sublime, il gergo giudiziario) taluni protagonisti della Prima Repubblica e parimenti della Seconda. È il caso dell’ex ministro Claudio Scajola, colui il quale ottenne una casa con vista Colosseo in parte «a sua insaputa» (non fu reato, secondo la Cassazione; resta un tocco di patafisica). Scajola è l’ennesimo esponente Pdl-Forza Italia a essere investito da guai legali, dopo lo stesso Berlusconi condannato in via definitiva e Dell’Utri al momento agli arresti in Libano.

Il discrimine fra le due lunghe stagioni della Repubblica – la prima dal 1945 al 1992-94 e la seconda da allora a oggi – è ormai individuato in «Tangentopoli», ovvero nell’inchiesta «Mani pulite» contro la corruzione e la concussione diffuse, che terremotò il quadro politico, provocando la traumatica fine dei partiti storici rinati nel dopoguerra. Si aprì  così la strada dei personalismi in politica e del populismo tuttora in auge, «sintomo e al tempo stesso diagnosi del malessere democratico» (Ilvo Diamanti, Siamo tutti populisti, «la Repubblica», 22 aprile 2014). Ebbene, gli arresti di ieri confermano che «Tangentopoli» non è mai finita. Sebbene sia opportuno adottare le garanzie di legge a tutela degli accusati, si impone il dato simbolico di una politica tenace fino all’inconscienza nel ripetere i suoi errori. Parliamo di Scajola che alla  cospicua serie di disavventure, inaugurata addirittura con un primo arresto nel 1983 (militava nella Dc), aggiunge adesso l’imputazione di aver favorito la latitanza del deputato di Forza Italia Amedeo Matacena.

Ma non scherza Primo Greganti, alias «il compagno G», stessa lettera del misterioso punto G di un’altra libido. Greganti, ex operaio Fiat, da esponente del Pci-Pds subì il  primo arresto nel 1993 nell’ambito di un’inchiesta sulle «tangenti rosse». Coinvolto  in successive indagini, egli negò sempre che il denaro fosse destinato al partito. Al momento delle sentenze, patteggiò e si dedicò alla consulenza industriale, prendendo la tessera del Pd. Non è l’unico finito in carcere ieri per gli illeciti negli appalti sull’Expo milanese del 2015. Ci sono anche due ex parlamentari, entrambi prima democristiani e poi in Forza Italia: Luigi Grillo e Gianstefano Frigerio che una volta venne eletto in Puglia col nome di Carlo Frigerio (la legge lo consente, altro tocco di patafisica). Le accuse? Nulla di che… Associazione a delinquere, turbativa d’asta e corruzione.

Notizie di reato bipartisan che hanno suscitato subito il mordace commento sul blog di un altro Grillo, Beppe: «Dopo Scajola ecco la nuova Tangentopoli delle “larghe intese”. Il Movimento 5 Stelle in tempi non sospetti aveva denunciato con forza come l’Expo fosse un “tangentificio” a forte rischio corruzione e infiltrazioni mafiose». Non sono mancate le  dichiarazioni di rito, a cominciare dal presidente del Consiglio Matteo Renzi: «Massima fiducia nella magistratura e massima severità se sono stati commessi reati». Osservazione lapalissiana che qualcuno ha interpretato come presa di distanza da Greganti. Mentre altri esegeti del Fiorentino gli attribuiscono preoccupazioni per il rischio di un tracollo nelle urne di Forza Italia, all’opposizione del governo Renzi, però alleata in tema di riforma elettorale (è l’Italia, bellezza, i paradossi fanno scuola).

Ma a sconcertare – e far riflettere – è l’indifferenza generale con cui ieri sono stati accolti gli arresti, commentati distrattamente, senza «scandalo». Non dalla stampa o dalla Tv che attribuisce ancora un primato al sistema politico, ma dai cittadini. Ammettiamolo: non uno fra noi si è sorpreso. Un’indifferenza simile alla rassegnazione, che, c’è da temere, neppure i famosi eventuali 80 euro in più nella busta paga riusciranno a scalfire. Servirebbe un riscatto dal passato, un gioco appena appena più complicato della pur necessaria «rottamazione» generazionale. È una parola, direte… Come si fa a chiedergli di non rubare?

Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 9 maggio 2014

 

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