COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Il nuovo uomo in rivolta ci viene a salvare, dal mare

Trump, Salvini, Orban, Seehofer: sono alcuni dei comandanti di questa disperata operazione alla Bava Beccaris; ma contro di chi? Moti a Milano non se ne vedono di questi tempi. E a guardar bene i metodi di costoro non differiscono molto da quelli che oggi usa Macron, ieri usavano Clinton,  Minniti. Cambiano i toni, la rivendicazione esplicita dei fini, dell’obiettivo. Sentono, a differenza dei loro predecessori, che serve una cultura per conquistare le opinioni pubbliche: la cultura dell’odio, figlia della paura. Va bene, si dirà, ma contro di chi?

Contro quella rivoluzione che loro chiamano invasione? No, tremano davanti all’uomo in rivolta. L’uomo in rivolta non crede in una rivoluzione metafisica, cioè contro Dio, non crede in una rivoluzione di classe, contro la dittatura borghese. L’uomo in rivolta crede in un nuovo umanesimo, guarda caso la sua è una rivolta che ha il suo epicentro nel Mediterraneo, dunque è quella rivolta mediterranea di cui parlava Albert Camus. L’uomo in rivolta di oggi dice di no all’ordine illiberale, dice di no all’ordine bellico, dice di no all’ordine malavitoso, dice di no all’ordine devastatore dell’ambiente. L’uomo in rivolta di oggi sfida tutto questo senza armi, senza violenza, senza terrorismo, soltanto mettendosi in viaggio. Lascia i quartieri denutriti dall’ordine della carestia, quello che doveva estirpare o quantomeno dimezzare la fame dal mondo secondo i suoi patetici proclami, lascia le terre devastate dai cacciatori di coltan, indispensabile per produrre i telefonini di tutto il mondo, lascia le città spianate dai neoimperialismi, lascia i paesi distrutti da tiranni coccolati, come in Eritrea, e cammina. L’uomo in rivolta del Terzo Millennio non è portatore della cultura dell’odio, al contrario, sa ballare, cantare, produrre spiritualità assediata, come è accaduto a bordo di Aquarius nei giorni della paralisi, dell’attesa.

Un volontario di Open Arms ha raccontato una giornata particolare di quest’uomo in rivolta. Erano lì, loro, su un barcone, con una ragazza completamente ustionata dai suoi carcerieri. Non è facile resistere ustionati sotto il solo rovente, con i piedi nell’acqua salata mista a kerosene, con gli schizzi del mare sul volto, le braccia. Loro l’hanno vista tremare, e allora hanno cominciata, in coro, a cantare il suo nome: Uluana, Uluana… Come le sirene hanno riempito il Mediterenneo con il loro canto, per evitare che lei andasse via. E per ore Uluana ha resistito. Poi…

L’uomo in rivolta ci chiede di uscire, di capire che il suo messaggio, ci riguarda perché sa che quel messaggio e questa rivolta ci riguardano, per sconfiggere la cultura dell’odio, che alligna anche nei paesi da dove quest’uomo proviene. Lui l’ha respinta, e l’ha sfidata mettendosi in strada, poi in mare. L’uomo in rivolta sa meglio di noi che l’islamismo nato jihadista e formatosi contro democrazia, diritti umani, libertà, ci ha contagiato, portandoci a difendere democrazia, diritti umani e libertà con scelte e azioni intrise di rifiuto della democrazia, dei diritti umani, della libertà. Così la sua denuncia cerca di svegliarci, chiedendoci di unirci alla loro rivolta, facendone la nostra rivolta. Se l’uomo rivoluzionario viene quasi sempre tradito da se stesso e dalla sua rivoluzione stessa, l’uomo in rivolta no, la sua rivolta può essere non capita, ma non può trovarsi a essere tradita. Ecco allora che siamo chiamati a scegliere: meglio restare con questo ‘68 capovolto, questo ‘68 trumpiano, orbaniano, che vuole costruire una società verticale, murata, capovolgendo gli obiettivi del ‘68 cinquant’anni dopo, o unirci all’uomo in rivolta del Terzo Millennio, quello che suona, balla, canta sui barconi della vergogna. Così facendo quell’uomo in rivolta ci dice che possiamo raggiungerlo nella sua ricerca di una società aperta globale, di un nuovo meticciato che sconfigga tutti gli idintitarismi malati, che distribuisca, valorizzi, abbandoni narcotrafficanti e mercanti di armi, riqualifichi, crei relazioni orizzontali, non verticali. Basta leggere il saggio di padre Giancarlo Pani sul cinquantesimo anniversario del ‘68 per capirlo. E’ un saggio illuminante, anche se non parla esplicitamente del confronto tra quest’uomo in rivolta contro l’ordine bellico, l’ordine illiberale, l’ordine predatorio, l’ordine criminale.

L’uomo in rivolta del Terzo Millennio non vuole salvare se stesso, altrimenti non andrebbe a morire nel Mediterraneo, l’uomo in rivolta del Terzo Millennio vuole salvarci, vuole aprirci gli occhi. E’ interessante notare che nel ‘68 ci fu una guerra a fare da detonatore della rivolta, quella del Vietnam. Anche questa volta, cinquanta anni dopo, c’è una guerra a fare da detonatore alla rivolta, quella di Siria. Loro, i grandi potenti, sono tutti lì, a devastarla, a perseguitarlo. Da Khamenei a Putin, da Erdogan a Nasrallah, da Salman all’emiro al-Thani: con le parole c’è anche Trump, e ancora. Scacciato di casa, l’uomo in rivolta siriano ha chiamato dal 2012 chi non vuole arrendersi a unirsi a lui, per venirci a chiamare. Frotte di vittime dei despoti dei regimi del Sudan, dell’Eritrea, del Congo, della Nigeria, dell’Egitto, del Chad, dell’Algeria, lo hanno sentito. Sui loro barconi si gioca una partita mondiale, una sfida dalla quale dipendono i nostri destini. Ma non in termini di qualche punto di pil, bensì di futuro.

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