Francesco e la riforma della Chiesa: la richiesta di dimissioni da arcivescovo di Monaco del cardinale Reinhard Marx è un sostegno o un brutto colpo? Sono state molte e diverse le letture del “caso Marx”, uno dei più stretti collaboratori di Francesco, coordinatore del Consiglio per l’economia in Vaticano dal 2014 e membro del Consiglio dei Cardinali che sta definendo la riforma della curia romana. Da questi incarichi il “fedelissimo” Reinhard Marx non si è dimesso, ha chiesto di lasciare la diocesi più importante della Chiesa tedesca in un momento delicatissimo, di fermento. Molti si sono soffermati su una frase: “La Chiesa è a un punto morto”. La frase completa è questa: “Mi pare – e questa è la mia impressione – di essere giunti ad un “punto morto” che, però, potrebbe diventare anche un punto di svolta secondo la mia speranza pasquale. La “fede pasquale” vale anche per noi vescovi nella nostra cura pastorale: Chi vuole vincere la sua vita, la perderà; chi la perderà, la vincerà!”
Come sta la spinta propulsiva del pontificato? Questa è un’opportunità o un brutto colpo? Forse per farsi un’idea dello spirito con cui è stata scritta la lettera a Francesco dal cardinale è opportuno dare risalto, come spesso accade, anche alle parole conclusive della lettera: “Continuerò con piacere ad essere prete e vescovo di questa Chiesa e continuerò ad impegnarmi a livello pastorale sempre e comunque Io riterrà sensato ed opportuno. Vorrei dedicare gli anni futuri del mio servizio in maniera più intensa alla cura pastorale e impegnarmi per un rinnovamento spirituale della Chiesa, così come Lei instancabilmente ammonisce”. Le dimissioni del cardinale Reinhard Marx hanno certamente tre livelli di lettura: quello personale, quello tedesco e quello universale. Il porporato guida la sua diocesi dal 2007, non è un “volto nuovo”. La situazione tedesca poi è molto delicata e ci sono nuovi capitoli, soprattutto a Colonia. La dimensione globale è data dalla rilevanza del problema e dal rapporto di fiducia che lega il porporato al papa.
A livello personale Marx si è speso molto per fare luce. Quindi la sua sofferenza personale tocca il livello tedesco del problema: lì si è nel pieno di un percorso sinodale molto difficile e importante del quale si è parlato poco e per alcuni addetti ai lavori male. Comunque Marx ha parlato del possibile “luogo teologico della crisi tedesca” se così posso dire: la condotta della Chiesa di cui è autorevole esponente e dirigente davanti agli abusi sessuali. Ha detto di aver percepito una crisi che non è solo nei comportamenti di alcuni- tanti sembra- ma nel fallimento di tutti: “ Per me si tratta di assumersi la corresponsabilità relativa alla catastrofe dell’abuso sessuale perpetrato dai rappresentanti della Chiesa negli ultimi decenni. Le indagini e le perizie degli ultimi dieci anni mi dimostrano costantemente che ci sono stati sia dei fallimenti a livello personale che errori amministrativi, ma anche un fallimento istituzionale e “sistematico”. Le polemiche e discussioni più recenti hanno dimostrato che alcuni rappresentanti della Chiesa non vogliono accettare questa corresponsabilità e pertanto anche la co-colpa dell’Istituzione. Di conseguenza rifiutano qualsiasi tipo di riforma e innovazione per quanto riguarda la crisi legata all’abuso sessuale. Io la vedo decisamente in modo diverso.”
Il punto morto è la non accettazione della co-colpa dell’Istituzione? E’ nel nome della sua “gloria” che si è determinato il fallimento di cui parla? Sempre nella sua lettera si legge: “Non è possibile relegare le rimostranze semplicemente al passato e ai funzionari di allora e in tal modo “seppellirle”. Personalmente avverto la mia colpa e la corresponsabilità anche attraverso il silenzio, le omissioni e al troppo peso dato al prestigio dell’Istituzione […] La trascuratezza e il disinteresse per le vittime è stata certamente la nostra più grande colpa in passato. A seguito del progetto scientifico (studio MHG) sull’abuso sessuale sui minori commissionato dalla Conferenza Episcopale Tedesca nel duomo di Monaco ho affermato che abbiamo fallito, ma chi è questo “noi”? Certamente vi faccio parte anch’io. E questo significa che devo trarre delle conseguenze personali”.
Per proseguire però occorre inquadrare storicamente questo problema cruciale posto dal porporato. E per farlo occorre tornare al 1989 e al 2001. Il primo non è stato l’anno del trionfo? Non abbiamo pensato che fosse finita la storia? E come sarebbe finita? Ma con l’affermazione di un modello unico, liberista individualista speculativo. La fine dell’epoca della contrapposizione ha lasciato in campo solo la cultura dell’io sovrano? Su quegli anni è illuminante la prima parte del nuovo libro del professor Massimo Borghesi, “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo”. In questa prima parte si sofferma sull’enciclica di Giovanni Paolo II “Centesimus annus”. Quel testo posiziona la Chiesa dopo il crollo sovietico agli antipodi del neoliberismo, della deregulation e così via. Ma quell’enciclica venne capovolta, con un’operazione che Borghesi illustra con testi e citazioni accuratissime: nacque il cattocapitalismo, capace di rendere il cattolicesimo compatibile con l’idea di una naturale concorrenzialità umana. In breve tempo questo cattocapitalismo si alleò all’interventismo statunitense, l’esportazione armata della democrazia. La “war on terror” era la risposta alla follia del 2001, quando bin Laden ha detto “saremo noi a porre fine alla storia”! L’imperialismo binladenista era totalmente mimetico rispetto a ciò che condannava anche per la guerra contro il Giappone, dove non c’era un musulmano. Lo ha scritto il grande René Girard, che ha sottolineato come gli aerei con cui ha abbattuto le Twin Towers erano aerei dell’impero da abbattere. La “naturale concorrenzialità” per lui porta al mimetismo e quindi alla violenza mimetica. Proprio allora, grazie a Giovanni Paolo II, la Chiesa è tornata ad Assisi. Ma il valore della fratellanza, unica risposta “religiosa” – cioè obbediente a Dio- tanto al terrorismo che alla società liberista, individualista e speculativa non ha fatto breccia nei cuori. L’ anima dell’Occidente non ci ha creduto. E’ come se la nuova egemonia culturale stesse in questo riassunto del mondo: “ la sconfitta del comunismo è stata la sconfitta della solidarietà e della fraternità, sconfiggiamo l’Islam e la storia sarà finita davvero nella globalizzazione del consumismo, l’unico desiderio, concorrenziale, di tutti.”
La Chiesa cattolica con i suoi papi ha capito che questo terreno l’avrebbe fatta franare a casa sua? Io penso di sì, così venivano davvero meno le fondamenta cattoliche nella terra in cui la Chiesa si ergeva. E ha tentato di rispondere, da Assisi, dove Giovanni Paolo II è tornato a riunire i leader di tutte le religioni nel 2002, quindi prima del disastroso 2003.
Lo scandalo degli abusi sessuali, emerso proprio in quegli anni, l’ha sfidata frontalmente, radicalmente. “Guarda il trave nel tuo occhio prima che la pagliuzza nel mio”, gli ha risposto l’Occidente in armi. Si può predicare bene e razzolare male?
Quando il file è passato nelle mani di Benedetto XVI la linea dura è stata annunciata su due presupposti e li troviamo nella lettera agli irlandesi. Nonostante anche qui Ratzinger critichi il post- Concilio per un diffuso orientamento ad “adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo” il punto forte è questo: “Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona”. Correva l’anno 2010 e questo secondo punto chiaramente vale ancora oggi e impone una domanda: è stato ascoltato su questo Benedetto XVI?
Se è vero che la Chiesa è stata la sola istituzione a discutere di sé è anche vero che non ha discusso abbastanza. I bambini che vanno in una scuola cattolica ci vengono mandati per quella parola, “cattolica”. Dunque? Dunque io mi ritrovo appieno in quanto scritto ai cileni da Francesco, lì dove parla di “un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente». Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo”. Correva l’anno 2018 e il punto è divenuto chiarissimo. E’ il punto della Chiesa sinodale. Se tutti i battezzati sono la Chiesa allora la Chiesa è vittima di alcuni sacerdoti infedeli! Li deve perseguire per infedeltà, la carne della Chiesa è quella ferita. Il problema è un abuso di potere di chi ha il potere nell’Istituzione ai danni della carne stessa dell’Istituzione! Ecco allora che si capisce perché la signora Marie Collins si dimise dalla Commissione Pontificia per la tutela dell’Infanzia. Lei chiese che la Congregazione per la Dottrina della Fede, che istruisce i processi canonici per i presunti responsabili, ascoltasse anche le vittime. Le fu risposto che è compito delle Diocesi. Formalmente era una risposta ineccepibile, sostanzialmente era il rifiuto di un salto di mentalità.
Non si può allora non leggere Marx alla luce di quanto scrisse padre Antonio Spadaro in un famoso articolo sulla forza propulsiva del pontificato. C’è ancora? In quel testo, riferito a tutt’altro, padre Spadaro però ha scritto:“ Come esempio concreto, pensiamo a ciò che è accaduto in Cile. Nella sua Lettera dell’8 aprile 2018, indirizzata ai vescovi del Cile a seguito del report consegnato da mons. Charles Scicluna circa gli abusi compiuti da parte del clero, Francesco ha scritto: «Per quanto mi riguarda, riconosco, e voglio che lo trasmettiate fedelmente, che sono incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate. Fin da ora chiedo scusa a tutti quelli che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente, nelle prossime settimane, negli incontri che avrò con rappresentanti delle persone intervistate».Da queste parole ben si comprende che solo «immergendosi» nel popolo e nelle sue sofferenze il Papa si è reso conto dei fatti. Ma questo, come si vede, è una forma di governo, tocca in maniera strutturale il governo della Chiesa, non è solamente una questione di stile. Le idee preconfezionate non servono e le informazioni possono non essere equilibrate e veritiere: solo l’incontro e l’immersione permettono il governo saggio”. E come si conclude quel testo pubblicato un anno fa? Si conclude così: “ Nella sua omelia nella Messa di Pentecoste del 2020 Francesco lo ha dichiarato apertamente: «Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia». Questo lo sguardo che sa vedere nella Chiesa un «ospedale da campo», immagine efficace della sua vera struttura. «Io vedo con chiarezza – disse il Papa a La Civiltà Cattolica nella sua prima intervista del 2013 – che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…»
Qui si trova la centralità della ferita delle vittime degli abusi e della proposta sinodale che il cardinale Marx rilancia nella sua lettera. Partire dalle vittime di un esercizio malato del potere può essere il modo migliore per cambiare la propria idea di potere: perché la gloria dell’Istituzione è apparsa più importante di quei piccoli?
La riforma è una riforma dell’agenda, dei paradigmi, delle priorità e chiama in causa allora altre idee di autorità. Le guerre culturali non si sposano bene con i silenzi e neanche con la cura delle ferite.