L’appartamento dove sono cresciuto a Roma, ogni anno quando arrivava il 25 Aprile si riempiva di musica verso le nove, nove e mezza del mattino. Paolo Cristiano, mio padre, usciva dal suo studio, dove dipingeva, laggiù vicino all’ingresso, e andava in salotto, dove c’era il grammofono. Pochi minuti e si cominciavano a sentire gli inni partigiani. Quel disco, un trentatré giri, lo ascoltava tutto, quasi in religioso silenzio. Poi ci chiamava, a me e mia sorella, e ci ricordava che non aveva nulla contro la Germania, contro i tedeschi, ma finché fosse vissuto lui una Volkswagen non sarebbe mai potuta entrare nel nostro garage. Quel simbolo per lui riportava alla mente cappotti lunghi e scuri, pistole puntate, corpi offesi. Troppo. Per mio padre la Volkswagen era un muro; non lo separava irrimediabilmente dai tedeschi, visto che ci diceva sempre che in prigione aveva fatto amicizia con tanti di loro. Dopo tanto tempo ho capito che vedere una Volkswagen per lui voleva dire rivedere un incubo che lo riguardava profondamente: quei corpi che ha visto trasferire verso fosse comuni senza essere certo che fossero tutti morti. Accanto a loro c’era sempre una Volkswagen.
Nato a Teano, provincia di Caserta, il 21 settembre del 1919, Paolo Cristiano scelse la via della lotta armata nel ‘43. Con un piccolo gruppo di amici, tra i quali il sardo Lillino, andò a nord, se ben ricordo a Trieste, dall’amico Dardi. E poi via, con i suoi compagni di Giustizia e Libertà.
E’ questa la sigla che sin da bambini ho imparato a sentire, riconoscere, come qualcosa di irrinunciabile: giustizia e libertà. Il 25 aprile, quando si faceva l’ora di pranzo, non sono state rare le occasioni in cui Paolo Cristiano ci ha raccontato, a me e mia sorella, quando venne catturato, causa un febbrone, dai fascisti. I fascisti che lo presero lo volevano portare a Salò, volevano processarlo lì. Ma il trasferimento si dimostrò impossibile e fu consegnato ai tedeschi, deportato e processato in Germania. Condanna a morte trasformata in lavori forzati a vita.
Ricordo benissimo il racconto di tante evasioni organizzate minuziosamente, gestite con supposto ardore e riuscite, tutte! Ma fatti pochi metri cascavano sempre, non riuscivano più a camminare; privi di forze non potevano che attendere lì i tedeschi che li avrebbero riportati in galera. Il racconto che più mi colpiva da bambino era quello sui pomodori. C’era una piccola serra e loro curavano i pomodori, fino a raccoglierli. Ma se per sbaglio ne rovinavi uno era come se avessi rubato un lingotto d’oro.
Liberato dagli americani Paolo Cristiano si trasferì per cure a casa di amici in Francia: era affetto da un principio di tubercolosi, ma riuscì dopo un anno circa a tornare in Italia. Partigiano di Giustizia e Libertà, attivista politico del Partito d’Azione poi. Quando la storia dell’azionismo finì militò per qualche anno nel Partito Socialista, stabilendo relazioni soprattutto con un gruppo di avvocati come lui, legati a Giacomo Brandolini. Quello è stato il suo principale impegno politico con il Partito Socialista e il ministro del Lavoro, Brodolini: contribuire a scrivere lo Statuto dei Lavoratori. Poi si è dedicato più volentieri all’altra grande passione, la pittura.
Non so se mio padre oggi si sarebbe affacciato al balcone per cantare “Bella ciao”. Davvero non lo so. Sono sicuro che come ogni anno l’avrebbe ascoltata in silenzio in salotto, insieme agli altri inni partigiani. Più o meno a quest’ora del mattino, visto che scrivo verso le 9,30 del 25 Aprile.
Grazie Riccardo per aver condiviso una memoria storica e personale cosi preziosa.