LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

Lo Sguardo

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Ikea, l’azienda multinazionale specializzata in vendita di mobili, complementi di arredo e oggettistica per la casa, decide di eliminare dal proprio catalogo presentato in Arabia Saudita ogni immagine femminile. La  versione occidentale, ad esempio, presenta una famiglia al completo in un bagno arredato Ikea. La medesima immagine nella versione saudita sarebbe stata “indecorosa” e allora il bambino che si protende verso il lavandino non ha più sua madre accanto. La notizia è rimbalzata ovunque, innescando una lunga catena di reazioni, incluse quelle del ministro del commercio svedese che afferma: «non si possono cancellare le donne dalla realtà, non permettendo loro di essere viste, di essere sentite, o di lavorare. L’Arabia Saudita spreca metà del suo capitale intellettuale». Recepita in Occidente come una ignobile «autocensura», «un cedimento nei confronti di un Paese che discrimina le donne», questa cancellazione ha riacceso persino il dibattito sull’”etica dell’impresa”.

È vero. Non si può cancellare la donna. Ma forse in un senso diverso da quello inteso dal ministro svedese. Ogni cancellazione, rimozione, falsificazione o deformazione, per quanto tecnicamente sofisticata, chirurgicamente perfetta, o economicamente conveniente, non riesce a rimuovere anche le tracce della propria cancellazione. Perciò, resta una traccia nell’immagine censurata o “smacchiata”. E questa dice più di una semplice mancanza, perché finisce per testimoniare. Ma forse testimonia non soltanto l’assenza barbarica della donna da quell’immagine e, soprattutto, dalla vita pubblica di alcuni, troppi Paesi.

Vista più da vicino, o con certa distanza, l’immagine del catalogo di uno dei più grandi colossi di arredamento d’interni globale è l’atrio che introduce ad un sistema di oggetti, all’inventario del famigliare, persino al suo lessico. Il catalogo Ikea appare come l’esposizione generale dell’intimità, irriducibile come un nido, eppure serializzata e uniformemente distribuita, quindi omologata. Il catalogo diviene così un decalogo dell’esistente e la sue immagini una dogana fra dentro e fuori. Già la copertina annuncia e predispone sin dall’inizio a chi è rivolta, chi sono i soggetti, gli attori del suo immaginario, ma anche chi vi è soggetto. L’immagine, ancor più quella pubblicitaria o promozionale, non riprende la realtà, ma la immagina, la forma, la deforma, la corregge, la cancella.

La cancellazione dell’elemento “estraneo”, il “ritocco”, il restauro, persino la contraffazione sembrano le uniche pratiche capaci di soddisfare quella sete metafisica di autenticità, che attraversa tanto la copertina censurata, che quella “originale”. Perché forse l’immagine originale non è tanto originaria, non attesta la verità, ma è già un simulacro, già mitologia: insegna un’ideologia, una certa idea di casa, una certa Ikea, un’economia. Ad esempio, un’economia per cui l’ingresso in un nuovo mercato, per quanto pacato, deve avere delle strategie e quindi non è mai pacifico. L’immagine censurata, senza donna, testimonia così la verità dell’altra immagine, quella della famiglia “al completo”, quella a cui sembra che non manchi proprio niente; la verità dell’altra immagine che non ci scandalizza affatto, perché sta lì proprio per noi. Ne annuncia così la mitologia, o l’ikealogia, la medesima soggezione a una certa economia di mercato, che si pretende anche economia di senso e di verità.

Infine, al di là di ogni intenzionalità dell’immagine e di ogni strategia aziendale, se la donna non c’è più perché è già fuggita, finalmente evasa dalla casa e da ogni catalogo?

 

Marco Carassai

 

  1. Grazie CarAssai.
    Due cataloghi a confronto. Due parole o due mondi a confronto.
    Qui si di-lapida, là si lapida.
    Il rizoma è lo stesso, quindi è differente.
    Forse che la donna assente nell’uno è comunque assente anche nell’altro quando e dove è presente? Anche nel “nostro”catalogo?
    Forse che anche dove tutto è conciliato e conciliante, è in atto un gesto di (di-)lapidazione?
    Curioso quanto dice il primo ministro svedese: “L’Arabia Saudita spreca metà del suo capitale intellettuale”.
    Insomma, dilapida! E lo sappiamo, non esita a lapidare.
    Forse che la donna non è nel catalogo perché è altrove, e lì viene lapidata?
    Mostruosamente possibile.
    Ma che succede quando invece nel cata-deca-logo questa donna c’è?
    Succede che è messa in vendita, di-lapidata proprio perché è – tutti felici – capitale umano.
    E allora, questa presenza, questo essere in bella mostra, non è forse essere nel mirino, alla mercé di una lapidazione simbolica, dunque comunque mostruosa?

    Ogni cata-deca-logo resta. Resta perché lapida e di-lapida.
    Fa da lapide, sepolcro del senso.
    A noi scoperchiarlo, a colpi di lapis.
    È già qualcosa.

  2. Qualche tempo fa, ho scoperto che il catalogo IKEA è attualmente il libro più letto al mondo.
    (La Bibbia dopo secoli di primato è scesa al terzo posto)
    Finalmente è successo quello che sapevamo: Dio è componibile, in legno scadente e a basso prezzo.
    Consegna e montaggio a carico dell’acquirent… ehm del fedele)

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