Il fatto nuovo delle amministrative di domenica è rappresentato dalla proliferazione delle liste civiche nate a scapito dei partiti storici. Questo fenomeno costituisce uno sviluppo di un precedente stato di cose: la disideologizzazione della politica che da attività gravida di valori spirituali tesi alla ricerca della felicità si è mutata in esercizio del potere ai fini del tornaconto personale o di classe. La scomparsa dei partiti, con l’avvento della Seconda repubblica, ha determinato l’insorgenza di comitati tipici delle epoche di basso impero dove sono i centurioni ad ambire a farsi imperatori. La conseguenza naturale è stata il progressivo esautoramento dei partiti intesi anche come portatori di meri interessi, veri e propri taxi riservati a leader che si sono promossi sul campo in forza di nuovi valori quali il pragmatismo, il populismo, la multimedialità, la retorica. Fino ad oggi la funzione dei partiti è stata questa, ma il futuro prossimo prospetta una situazione nella quale il processo di personalizzazione della politica toccherà punte che ne segneranno la fine definitiva, in favore di club che oggi si chiamano “liste civiche”.
La storia della Seconda repubblica appare dunque un continuo svuotamento dei partiti così come li abbiamo conosciuti, da un massimo della loro egemonia entro una concezione pienamente partitocratica a un minimo del loro peso di rappresentanza qual è quello che oggi detengono. I casi di Grillo, Salvini, Renzi, Berlusconi, Alfano, Verdini, figure politiche che si sono incaricate di forgiare i loro partiti a loro immagine facendone organi che possono stringere alleanze non più secondo modelli ideologici ma perseguendo ragioni di opportunità dimostrano che la linea di tendenza è quella – alla fine – di un ritorno al culto della personalità che è la fonte originale di qualsiasi insorgenza totalitaria.
In questo scacchiere il club è destinato a mutarsi prima o poi in banda, la prima delle quali sembra quella capeggiata da Verdini, un capo-mercenario pronto a schierare i suoi accoliti al fianco del più generoso.
Le tantissime, troppe, liste civiche apparse in queste amministrative sono una precisa e inequivocabile spia di un fenomeno trasversale che vuole chiudere i conti con la logica dei partiti, i quali non sembrano voler dare segno di una reazione, a motivo del fatto che sono proprio i loro reggitori i primi riformatori. Il caso più evidente è il Pd, spaccato tra i nuovi populisti come Renzi, Boschi, Orfini e i vecchi organici come Bersani, D’Alema, Cuperlo e gli altri dissidenti. Il Pd è stato l’ultima roccaforte, perché storicamente la più monolitica, a cedere alla nuova onda del pragmatismo. Gli altri partiti si sono da tempo, già dal primo Berlusconi, immolati sull’ara di un neoliberalismo inteso non più come formula discrezionale nell’impiego economico dei mezzi di produzione e nella distribuzione della ricchezza ma come mezzo arbitrario nell’esercizio politico del potere.
Se i partiti tradizionali, per quel poco che tali possono essere riconosciuti, non riescono a fermare le liste civiche e quindi la deriva nella quale sono destinati essi stessi a inabissarsi, quel che ci prepara il futuro è una pletora di principi animosi in uno Stato diviso non territorialmente per regni o ducati ma materialmente per iscritti e forze al seguito. Perché i partiti possano però ristabilire il loro primato devono trovare non tanto uomini capaci di realizzare il progetto ma di volerlo: cosa che a nessuno può interessare se sa di potersi fare egli stesso partito e progetto. Solo il recupero dello spirito della Costituente, volto al bene comune, potrebbe giovare a realizzare un disegno che è soprattutto l’affermazione di un’idea di democrazia oggi minata da un progetto di riforma costituzionale sostenuto da una legge elettorale apparentemente pensate per consolidare l’attuale processo oligarchico.
IL SOTTOSCRITTO