Il vincolo del doppio mandato che pesa sui sindaci mira ad evitare rigurgiti da Prima repubblica, quando anche i Comuni erano considerati da politici e notabili di partito feudi privati nel segno del più vieto nepotismo. Quello spirito di innovazione nasceva da un sentito bisogno di trasparenza contro la recidivante spinta verso rendite di posizione individuali, familiari o claniche, nella cui luce la norma osservata soprattutto da Democrazia cristiana e Partito socialista, imbattibili campioni di essa, era l’avvicendamento di persone attigue in cariche pubbliche gestite al pari di ruoli propri di un’azienda privata.
Ad Avola, un Comune siciliano noto alla storia per i fatti di sangue che resero martiri i suoi lavoratori in lotta nel 1968 e chiamato il 12 giugno al voto per il nuovo sindaco, si sta assistendo a un fenomeno di riflusso e alla dimostrazione del teorema lampedusiano inteso a cambiare tutto per non cambiare niente, nella logica di un ritorno al passato che viene visto come “vecchio” proprio da quanti, interpretando il credo del “nuovo che avanza”, vessillo della Seconda repubblica, professano anzichenò lo stesso regime di pensiero e azione. Forte di un consenso elettorale che continua a suscitare sorpresa non meno che perplessità, il sindaco uscente Luca Cannata (prima Forza Italia e ora Fratelli d’Italia), nell’impossibilità di protrarre per la terza volta il suo mandato, ha infatti pensato, come in una quatriglia ballata in piazza, di sostituire la sorella Rossana, deputato regionale della Meloni, nello scranno di Palazzo dei Normanni e di insediarla al proprio posto a Palazzo di città. Senza rossore di entrambi. Senza esitazioni. Senza giustificazioni. E senza alcuno scandalo pubblico. La città acconsente, eccezion fatta per qualche voce inascoltata che clama nel deserto.
La filosofia che muove Cannata è la stessa dei vecchi baroni di paese che si ergevano a custodi del bene comune in nome del quale pretendevano ossequi, beneplaciti e prebende. Il linguaggio che anche in questi giorni sta usando Cannata è nello stesso stile: attribuendosi meriti di sana e cospicua amministrazione (riconosciuti da un’opinione pubblica sostenuta da siti web, giornali ed emittenti cui il Comune avrebbe elargito, secondo denunce pubbliche, sovvenzioni per ben oltre 500 mila euro), posa a salvatore della patria legittimando per ciò solo l’aspirazione personale a perpetuare il dominio su Avola per interposta persona, ma nel frattempo puntando al ben remunerativo posto che la sorella gli lascerebbe libero a Palermo, come fosse un palco riservato a teatro.
La forza delle sue ragioni è riposta su un assunto perlopiù condiviso dagli avolesi: avendo operato bene, è bene che rimanga ad operare. Cannata ha quindi motivo di rivolgersi ai blandi avversari politici bollandoli di passatismo, non accorgendosi però che oggi il “vecchio” è proprio lui, non essendo più il “nuovo che avanzava” sotto le cui insegne ha pur edificato le proprie fortune: e tanto più “vecchio” si farà quanto più persisterà a rimanere in vetta al campanile di casa – dove “vecchio” è, nella stessa sua accezione, sinonimo di contaminazione, radicamento, affarismo, arricchimento.
Se è vero che si è reso benemerito alla sua città, dovrebbe avere diritto a un monumento in piazza o a una via intitolata “Via Fratelli Cannata”, ma non a un posto fisso come politico di infinito corso. E dovrebbe piuttosto prendere esempio da Timoleonte, che risollevò le sorti di Siracusa e si ritirò in campagna al culmine del successo, pago di avere prestato un degno servizio alla propria gente. Ma Cannata vuol fare esattamente il contrario, intendendo come i monarchi medievali far sedere la pia sorella al proprio posto magari nel proposito di tornarci fra cinque anni. Questo atteggiamento di cocciuta pervicacia e attaccamento al potere politico è proprio di quanti, da Salvini alla Meloni, da Micciché a Musumeci, non hanno una professione alla quale tornare dopo aver servito la collettività, e vedono perciò nella politica la loro unica condizione lavorativa stabile e permanente.
La supposizione secondo la quale “squadra che vince non si cambia” non vale davvero in democrazia, un cui principio fondamentale ereditato dall’antica Grecia è la rappresentanza a termine, necessaria per impedire appunto casi come quello di Luca Cannata, che può permettersi, con i mirallegro della folla, di fare propria la casa del popolo: all’ombra di uno scudocrociato che si profila in una nuova foggia e nel retaggio del verbo di Andreotti che vedeva in chi non esercita il potere il proprio logoramento nella vita politica. Cannata non vuole evidentemente correre tale rischio e sta lavorando al Piano B che implica la guest star della sorella: senonché il vero rischio è a questo punto che Avola si trasformi in una nuova Pietrammare dove l’ora legale (dall’omonimo film di Ficarra e Picone) non segni alla fine il ritorno ai costumi travolti da una rigenerante ondata di “nuovo” portata dal sindaco rivoluzionario, bensì sancisca il consolidamento di condotte comuni date per nuove ma esattamente identiche, se non peggiori, a quelle superate.
IL SOTTOSCRITTO
Non sono di Avola io abito a Noto a quattro km.le faccio i miei più cordiali complimenti perché non ha sbagliato neppure una parola è la realtà che circonda la città di Avola complimenti
Gli articoli indipendenti e oggettivi, ormai, devono arrivare ad Avola da altre provincie.
Ma stiano tranquilli i Cannata: questo articolo d’importazione non potrà essere compreso da gran parte degli aventi diritto; troppo forbito è il linguaggio usato dal Bonina, troppo lontano dalla propaganda”terra terra” del concorso esterno in comunicazione istituzionale.
Dignità e vergogna sono,a quanto pare,concetti desueti.
ottimo articolo ben fotografata la realta,il piccolo dittatore,cresce e squazza sullignoranza altrui,con occhi aperti si vede e si capisce che e un sottosviluppato ben aggangiato con particolari soggetti
Tutto vero e stato un buon sindaco ma anche per se stesso e per i suoi amici più “intimi”
Un articolo ben fatto!! Complimenti