La madre di tutte le riforme arriverà al Consiglio dei Ministri il 13 Giugno e sarà incardinata su tre leve che il Ministro Madia e il Presidente del Consiglio Renzihanno identificato come decisive per vincere la battaglia contro la burocrazia: un cambiamento che comincia dalle persone; la lotta agli sprechi; un utilizzo massiccio degli “open data” per semplificare l’azione amministrativa.
Finora di “dati aperti” si è parlato, però, soprattutto in termini di trasparenza quando quello che è ormai un vero e proprio movimento ha chiesto ed ottenuto la pubblicazione di stipendi di dirigenti e politici e i nomi dei vincitori di appalti pubblici. Ma la trasparenza è solo l’inizio di una vera e propria mutazione che la tecnologia ha già innescato.
Se davvero, infatti, riuscissimo ad usare una frazione del potenziale impatto dell’alluvione di dati che rischia di sommergere la PA, l’ordine di priorità della Madia va rovesciato. La messa a disposizione di tutti delle informazioni che – all’interno e all’esterno degli archivi pubblici – fotografano fenomeni di rilevanza pubblica, può ridefinire lo stesso concetto di “spreco”e ciò pone una sfida radicale a chi lavora oggi per lo Stato. Più che la riforma della PA diventa possibile – con gli “open data” – un ripensamento delle forme stesse dell’organizzazione dello Stato e del suo ruolo.
Per capire la portata della rivoluzione può essere utile pensare a due delle funzioni che storicamente definiscono lo Stato: il presidio del territorio e il sistema sanitario nazionale.
Si tratta di due attività essenziali: da una parte la garanzia della sicurezza che, persino, Adamo Smith riconosceva essere per definizione monopolio dello Stato; dall’altra, la copertura del bisogno minimo di protezione che giustifica dall’ottocento l’esistenza stessa di una comunità che lo Stato governa. In entrambi i casi, si tratta di servizi ad alta intensità di informazioni, forniti, cioè, sulla base del reperimento e trattamento di dati che riguardano milioni di individui. È evidente che una tecnologia come INTERNETche ha come sua caratteristica tecnica fondamentale proprio quella di rendere disponibile a tuttil’informazione– proprio come avvenne cinquecento anni fa con l’invenzione della Stampa, può cambiare – proprio come successe nel cinquecento con la riproduzione dei libri – davvero tutto. E può cambiare la distribuzione del potere che, spesso, segue appunto quello della conoscenza.
Per lo Stato l’opportunità è enorme. Così come grandi sono, tuttavia, i rischi.
Da una parte i cittadini possono arricchire e di molto le informazioni sulla base delle quali si prendono decisioni e tali decisioni possono essere, dunque, molto più efficienti. Attraverso la rete salta di fatto, ad esempio nei settori della sicurezza o della sanità, il filtro di atti amministrativi – come la denunciao la cartella clinica – che seguono a procedure costose e che, spesso, rimangono in archivi non accessibili.
Chi deve distribuire le forze dell’ordine su un territorio urbano, reprimere violazioni del codice della strada, organizzare il sistema sanitario premiando gli ospedali migliori e incoraggiandone la specializzazione, consigliare ai pazienti cure personalizzate che riducano il rischio di costose degenze, può agire con più precisionesulla base delle segnalazioni da parte delle persone di infrazioni o malattie e – più velocemente – può raggiungere i cittadini per suggerire quali zone evitare, a che ora prendere una pillola o, addirittura, chiederne la collaborazione nella produzione del servizio.
La comparazione internazionale – condotta sistematicamente da istituti come l’Open Knowledge Foundation – e l’auto organizzazione della società stessa – già molto spinta in Inghilterra o in Germania – costringerà, prima o poi, qualsiasi governo ad adeguarsi.
Tuttavia, il mondo che le tecnologie rendono possibile non è né inevitabile, né privo di rischi.
Non necessariamente è facile, ad esempio per i carabinieri o per un’azienda sanitaria, distinguere nel diluvio informativo quelle utili e vere da quelle che non lo sono; far dialogare sistemi informativi di organizzazioni diverse; pubblicare dati accessibili a tutti senza far pagare costi troppo alti a chi non ha dimestichezza con i computer o i telefoni intelligenti.
Inoltre, la notizia ottima ma anche pessima per le resistenze che le saranno associate, è che l’apertura dei datirende possibili recuperi di efficienza che vanno molto aldilà del superamento della logica del taglio lineare: non solo con molte più informazioni saranno i cittadini a giudicare a quale commissariato o a quale specialista rivolgersi, facendo tagliare agli utenti l’erba sotto i piedi di chi è meno efficiente; ma, soprattutto, potremmo scoprire che interi uffici che processano informazioni sono stati superati dalla rete, persino a prescindere da una valutazione di efficienza delle singole persone. Ma per lo Stato la sfida è ancora più alta, perché aprendo i propri archivi ai cittadini e i processi di produzione dei propri servizi ai dati che dai cittadini arrivano, lo Stato rinuncia ad una delle sue prerogative storiche: il monopolio sulla gestione delle informazioni che riguardano la societànella sua interezza. L’unica strada è quella che hanno intrapreso, ad esempio, all’ISTAT che è in qualche maniera sul fronte più avanzato della mutazione in atto: i suoi ricercatori migliori sono già nel mondo dei dati aperti per rinnovare totalmente la gamma dei prodotti che l’istituto di statistica nazionale offre al Paese per conoscere se stesso, sfruttando il vantaggio competitivo di esperienza che ancora possiede.
I provvedimenti del 13 Giugno non possono che essere solo un primo passo verso la costruzione di un’amministrazione pubblica che tra dieci anni ricorderà poco quella che oggi appare a tutti una burocrazia preoccupata quasi solo della propria sopravvivenza. Sugli “open data” il Governo e l’Agenzia Digitale deve togliere vincoli e superare resistenze di chi sa bene qual è la posta in gioco; ma anche investire in competenze, semantiche comuni e sistemi nuovi.
La riforma non potrà buttare via con l’acqua sporca di tante inadeguatezze, il bambino di un’organizzazione che ha avuto, comunque, il merito di tenere in piedi un’idea di Paese in momenti difficili; ancor meno sarà possibile tra una settimana immaginare un futuro che è tuttoranon noto nei suoi esiti finali e in quasi tutti i suoi dettagli operativi. Sarà però indispensabile rispondere subitoalla volontà di cambiamento che gli italiani hanno espresso con un progetto sulle PA fatto di scelte precise, sperimentazioni sui dati da valutare con serietàe risultati da raggiungere anche a breve.
THE VISIONNAIRE