Alan Hollinghurst scrive romanzi gay. Tale è Il figlio dello sconosciuto, da poco uscito per Mondadori nella traduzione di Giovanna Granato, così come tale era il precedente La linea della bellezza, Booker Prize nel 2004. Sono romanzi gay, e non solo scritti da un romanziere gay, per due motivi: perché lo sviluppo dell’affettività e della sessualità del personaggio principale, in chiave omosessuale, è un tema centrale; e perché lo sguardo dello stesso personaggio ci svela quanto di omosessuale c’è nel contesto che lui attraversa. Ecco perché leggere un romanzo di Hollinghurst significa compiere un viaggio culturale.
Ma non è, questa, la sola esplorazione che il cinquantottenne scrittore del Glucestershire ci concede. Perché un altro suo tema centrale e ricorrente è il classismo “di natura” della società inglese. Di nuovo qui ci sono dei piani alti della scala sociale che si fanno desiderare da qualcuno che è un po’ più giù nella stessa scala. In questo caso “su” sono i Valance, baronetti anche se di recente lignaggio, per meriti economici di un paterfamilias a fine Ottocento, ma comunque tali e in più possessori di una tenuta di migliaia di acri con annessa dimora eccentricamente vittoriana; e “giù” i Sawle, borghesi con terreno di soli due acri.
Per 472 pagine e un centinaio di anni, tra il 1913 e l’oggi, tra quando l’omosessualità era punita col carcere – il De profundis di Oscar Wilde risaliva ad appena 18 anni prima – e il presente di coppie gay regolarmente unite, Il figlio dello sconosciuto racconta l’osmosi tra le due famiglie. Tutto intorno alla figura di Cecil Valance, il giovanissimo seduttore che, piovuto un giorno ai “Due acri”, aveva conquistato il corpo del giovane George e il cuore di sua sorella Daphne. Di avvio lento ed eccessivamente minuzioso (il tipo di romanzo che ti dà l’impressione di entrare in una miniera senza sapere quando rivedrai la luce), Il figlio dello sconosciuto diventa poi godibile. In ogni caso, è un forziere di punti di vista e giochi di specchi “tra” classi e “tra” sessi.