Non fa ridere, se voleva essere uno sketch. Però fa pensare: a dove un padre sia capace di arrivare quando vuol difendere il figlio facendo leva con assoluta impudenza sul suo potere di influencer, peraltro di leader politico di governo. In un colpo di ira Beppe Grillo ha pensato che apparire in un video per sbraitare contro quanti nel figlio vedono uno stupratore fosse il modo migliore per prenderne le difese: agitando argomenti vieti, primo fra tutti la balordaggine che avrebbe spinto la combriccola del figlio a darsi in una sera d’estate alle esorbitanze dell’età e perciò non imputabili, e secondo argomento l’accondiscendenza della ragazza loro amica e ospite, tanto più d’accordo a fare baldoria ed eccedere in licenza perché è rimasta in vacanza, ha continuato a messaggiare con i suoi aguzzini e ha presentato denuncia solo dopo oltre una settimana.
Grillo appartiene a una generazione che ritiene lo stupro un atto bestiale da assimilare alla tortura e alla sevizie. Non concepisce la violenza sessuale se manca del sangue, dei segni sul corpo, delle ecchimosi e delle tumefazioni. Per lui quanto hanno fatto figlio & friends è stato tutt’al più sesso che definirebbe “spinto” e che oggi è chiamato “estremo”, ben lontano quindi da essere configurabile come un reato peraltro diffamante. Come capo fondatore di un partito che detiene la maggioranza in Parlamento avrebbe dovuto tacere e semmai sollecitare il potere giudiziario ad accelerare i tempi per accertare la verità e riconsegnare il figlio alla sua immagine più perbenista, nella certezza della sua innocenza. Come padre avrebbe dovuto comunque deplorare, anche pubblicamente, la condotta di un rampollo che mai avrebbe dovuto sentirsi autorizzato a trascendere in bagordi per giunta sessuali, approfittando degli agi, dei soldi e della villa di papà. Come cittadino del nostro tempo, avrebbe dovuto riflettere su cosa in realtà è la violenza sessuale. La quale si ha anche nel caso in cui la vittima, quasi sempre la donna per ragioni di forza fisica, si mostri consenziente e partecipativa.
Il solo motivo che una donna presenti denuncia costituisce la prova della sua contrarietà all’atto di cui ha fatto esperienza. Chi a tavola, ospite in casa d’altri o a un ristorante, dia mostra di gradire una pietanza e ne mangi anche una seconda porzione, così compiacendo la buona cucina che gli è offerta, non dimostra per ciò solo che gli è piaciuto quanto ha ingerito: può aver finto per mille ragioni e può anche aver finto a metà, ritenendo mangiabile o non schifoso ciò che ha trovato, ma deciso tuttavia a fare risapere di avere provato disgusto. Allo stesso modo la vittima di Ciro Grillo può essere stata al gioco, può anche aver provato a farsi piacere quel tipo di sesso che le era proposto e imposto e può addirittura essersi resa collaborativa, magari allo scopo di “finire”, come cantava Mina evocando una situazione proprio di questo tipo, ma è ben stata cosciente di agire obrtorto collo o per cause di forze maggiori o per calcolo o per opportunità. Quale che sia la ragione del comportamento di una donna violentata, esso non può integrare un’idea di consenso. Se per una sola volta e per un attimo, ha detto di no oppure “basta”, ha infatti reso manifesta la sua volontà contraria. E se poi non è stata ascoltata, quella che poteva sembrare una forma di dubbia partecipazione, tale da essere confusa con un modo singolare di vivere l’esperienza sessuale forte, non può non tradursi in un autentico atto di violenza. E del resto: che motivi aveva la ragazza di Ciro di confessare ai genitori segreti così intimi, sapendo di finire oggetto dell’attenzione pubblica nazionale, visto il cognome dei Grillo, e affrontare un tribunale, vivere uno scandalo quando poteva continuare a godere delle piacevolezze di una frequentazione e dell’utilità di un’amicizia con una famiglia così in vista se non in realtà quelli che l’hanno indotta a vedere nell’esperienza fatta una violenza?
Fin quando si indagherà il comportamento di una donna nelle mani del suo stupratore contandone i sospiri per raffrontarli con gli urli, sarà facile a ogni avvocato sostenere in tribunale che “in fondo in fondo ci stava”. Dovrebbe piuttosto valere come prova d’accusa unicamente l’atto di querela, che sia fondato su fatti da indagare non nella specificità del loro svolgimento ma quanto alla loro sola sussistenza reale. Si commette violenza sessuale anche quando non si determina un danno fisico ma si prevarica con la forza la volontà del partner. Grillo ha ben altre teorie, anche sull’educazione da impartire ai figli, aspetto questo che è forse il più inquietante. Difendere Ciro con i toni usati e con le ragioni addotte equivale per lui, che è stato maestro della gag, a dar credito al sordomuto della barzelletta che davanti ai giudici si difende dall’accusa di stupro dicendo di non averle sentito di dire di no.
IL SOTTOSCRITTO