Altro che ultima copia del New York Times da acquistare, al massimo, nell’anno 2043! Qui il declino corre veloce: in Italia 70 giornali rischiano di chiudere a breve i battenti e nei rimanenti si ristruttura a rotta di collo, cassa integrazione, prepensionamenti, contratti a tempo, part time, co.co.pro, partita Iva, etc. Dal 2013 il settimanale americano Newsweek sarà tutto e solo online, Che ne sarà del giornalismo in futuro? Semplice: quello “dipendente” ha un limite ormai diventato fisiologico: finisce al compimento del 57esimo anno d’età del giornalista. Quello “indipendente” deve forse ancora decollare. Almeno nelle sue forme strutturate e organiche, salvo rare eccezioni. Qualche testata, pochi individui, rare firme e inchiestisti di qualità. La soglia psicologica della fine del giornalismo è però 56 anni. Quando si capisce chiaramente che al massimo entro un anno si dovrà smettere. Senza sconti e attenuanti, ma a tutti i costi.
È la nuova “legge dell’editoria” varata per decreto unilaterale degli editori ed è anche il messaggio che ha inviato chiaramente a tutta la categoria e al pubblico dei suoi lettori il Comunicato del Cdr de la Repubblica con lo sciopero proclamato sabato 27 ottobre, che ha impedito l’uscita in edicola del quotidiano diretto da Ezio Mauro il giorno successivo, il 28, e di tutta la catena dei quotidiani locali legati al Gruppo Espresso. Sciopero contro l’imminente ristrutturazione, che in molti vedono selvaggia.
Ciò che dimostra come l’industria delle notizia abbia vissuto anni di eccessivo e ingiustificato gigantismo. Crescita di supplementi, pagine, iniziative editoriali, inserti per far spazio e accogliere meglio la pubblicità. Con conseguente lievitazione degli organici delle redazioni. Anche la free press è nata per questo scopo: drenare pubblicità finché dura. Giornalismo come mezzo e non come fine. E ora che la pubblicità arretra e lo spot manca, sul fronte editoriale sventola bandiera bianca. Tagli, chiusure, dismissione della carta e passaggio al più vantaggioso e meno oneroso online. Ciò che conferma che la natura vera del giornalismo, la sua anima, più che la libertà, la ricerca della verità e quantaltro, è la pubblicità. E comunque l’una e l’altra si tengono solo se c’è la terza. Ovvero, per dirla con uno che negli anni Ottanta se ne intendeva ed era pure l’a.d. della Sipra, l’agenzia di pubblicità dela Rai, al secolo Edoardo Giliberti: «Il giornalismo è l’anima del commercio…».