Gerusalemme ha troppi significati, per questo rischia di perdere il suo vero senso. E’ una pietrificazione di pregiudizi, o forse di un’idea, cioè di un’idealismo estraneo a tutti i monoteismi, fatti di greggi, di migranti, non di idee. Gerusalemme così, in un’ottica sana, sta chiaramente lì a indicare il bisogno di tutti e tre i monoteismi di vivere insieme, di non essere soli, abbandonati, separati, isolati dagli altri.
Così Gerusalemme ha un senso se viene vista come simbolo vivo di un islam che è attratto dalla città di ebrei e cristiani, perché non esiste islam senza ebraismo e cristianesimo, non si può credere nell’islam senza credere anche nell’ebraismo e nel cristianesimo. Gerusalemme recupera il suo senso anche se viene vista e capita come simbolo della persistenza della matrice giudaica nel cristianesimo paolino, universale. E’ di conseguenza Gerusalemme una città piena di senso se vista come segno di un destino comune, che richiede un cammino comune.
Se le religioni prediligono il tempo allo spazio, cioè se prediligono camminare con l’uomo, vivere con lui, nel tempo, nella storia, allora sono chiamate a farlo insieme, come sorelle della famiglia umana fatta di figli di Dio, cioè di fratelli, che hanno nella loro parentela e nella loro diversità il segno della volontà celeste.
Ma se le religioni prediligono lo spazio al tempo, cioè il potere, la fortificazione, il possesso, allora non solo si fermano, non camminano più, ma si chiudono, si isolano, non sono più sorelle dell’umanità. I simboli delle religioni non sono più le greggi, le migrazioni, i pastori, ma le caserme.
Le mura degli antichi monasteri non separano, dicono che l’unica protezione possibile, l’unica protezione che vale, è quella del buon vicinato. Sono altre mura rispetto alle fortificazioni di un tempo paralizzato, in cui le religioni diventano pietrificate guardiane di se stesse, del loro potere.
Ecco che Gerusalemme da simbolo di fratellanza e sorellanza celeste diviene simbolo chiuso di incomunicabilità, di separatezza, di cuori che si fanno di pietra invece che di pietre che hanno un cuore, o che parlano. L’unità di Gerusalemme è solo l’unità del plurimo, del non riducibile, del non assimilabile. Non c’è primazia, non c’è sostituzione, c’è solo l’imperativo di prediligere il tempo e viverlo insieme.
Questo simbolo evidente di invito a considerare il tutto superiore alla parte a Gerusalemme è stato abbandonato da tutti i monoteisti, da tutti i pellegrini, da tutti i fedeli, fattisi tristi custodi di un segmento di storia, come quei frati che le danno di santa ragione ai monaci dell’altra comunità orante dentro il Santo Sepolcro.
Gerusalemme così, invece che la città di cui ci ha parlato Amos Elon, la città di specchi, diviene la città degli spicchi, dove ogni spicchio non vede l’altro, non conosce l’altro, teme l’altro. Se c’è un valore eterno oggi evidente a Gerusalemme è quello del tradimento del suo valore fraterno, del messaggio di sorellanza, della sua consapevolezza che vivere da soli è contro la nostra natura e quindi contro il messaggio di quella creazione che è cominciata con la creazione di Adamo e subito dopo dell’altro, o altra, senza la quale la creatura sarebbe morta. Di solitudine.
Gerusalemme, il senso di una città
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